
Romanzo corale? Ne abbiamo parlato nella rassegna “Una storia fantastica”, infatti, nel secondo appuntamento, io e Laura Di Gianfrancesco abbiamo intervistato Francesca Maccani.
L’autrice, di origine trentina, vive a Palermo dal 2010 dove insegna alla scuola secondaria. Nel 2022, dopo altri testi che hanno evidenziato la sua bravura, pubblica Le donne dell’Acquasanta edito da Rizzoli. E vince il premio Rapallo. Si tratta, appunto, di uno splendido romanzo corale di cui ci racconta l’evoluzione e la costruzione in questa bella chiacchierata che, davvero, rappresenta una lezione di scrittura a tutti gli effetti. Prendete appunti.
Iniziare a scrivere
Quando e come ti sei innamorata della scrittura?
Molto presto. La mia filosofia di vita si può racchiudere in un proverbio siciliano: “ogni impedimento è giovamento”. Significa che quando una cosa va storta, in qualche modo, poi, può portare comunque a qualcosa di buono.
A quattro anni mi sono rotta la gamba sulle piste da sci. Era una giornata di brutto tempo, c’era una tormenta e, a causa di quell’incidente, sono stata immobilizzata per novanta giorni. Mia mamma allora, per far passare le mie giornate, mi comprava dei libri per l’infanzia dove si dovevano disegnare le lettere. E da quel momento ho iniziato a leggere, quasi un anno e mezzo prima di andare alla scuola elementare. All’università ho partecipato alla scrittura di articoli accademici e ho fatto un po’ di giornalismo per un periodico locale del Trentino.
Scrivere un libro è sempre stato il mio sogno nel cassetto. Non credevo di esserne in grado ma ci ho provato. Posso dire che è andata bene con il primo, ancor meglio con il secondo, quindi credo che continuerò.
Scrivere un romanzo
Com’è nata l’idea del tuo ultimo romanzo Le donne dell’Acquasanta?
Prima di tutto, è nato perché amo Palermo. Qualche anno fa, mi è stata data la possibilità di visitare un sito di archeologia industriale: la Manifattura Tabacchi, dove si confezionavano i sigari. Pensate che molti palermitani non sanno nemmeno che esista questo luogo.
Quando l’ho visitata mi è successa una cosa un po’ strana. Ho avuto una specie di déjà vu immaginandomi le donne che lavoravano al suo interno, i loro volti e voci. È come se fossi entrata in contatto con quelle stesse donne. Da lì ho iniziato le mie ricerche – molto difficoltose – perché non c’erano documenti che parlassero delle operaie e quindi è stato un lavoro molto lungo e complesso.
Verosimiglianza: una scelta possibile
Non sarà stato facile. Tra l’altro, hai modificato un po’ quella che era la tradizione della composizione del sigaro per esigenze narrative: il sigaro veniva realizzato singolarmente da ciascuna operaia, tu invece hai creato un metodo in cui le donne lavorassero insieme.
Sì esatto. Per quanto un autore cerchi di essere fedele alla verità storica – e credetemi, ho cercato di esserlo il più possibile – ho attuato una piccola deviazione rispetto alla realtà sulla produzione dei sigari. Ho preferito immaginarli prodotti in coppia, mi hanno confermato che in alcuni Stati esteri era consuetudine farlo e in questo caso ho scelto così perché la storia parla di donne, amicizia e profondi legami. Volevo che anche la fase di produzione fosse un momento di unione e sincronia. Questa è davvero l’unica libertà che mi sono concessa rispetto alle notizie storiche, il resto si basa su documenti reali.
Scrivere un libro è sempre stato il mio sogno nel cassetto. Non credevo di esserne in grado ma ci ho provato. Posso dire che è andata bene con il primo, ancor meglio con il secondo, quindi credo che continuerò.

La raccolta delle fonti
Quanto tempo hai impiegato per raccogliere tutte le fonti utili?
Ho impiegato quasi un anno.
All’inizio non sapevo che all’interno della Manifattura sorgesse il baliatico quindi ero partita con tutta un’altra storia. A un certo punto, però, ho trovato la pubblicazione di una docente universitaria, la Dottoressa Palermo Silvia Pennisi. I suoi documenti tecnici e le planimetrie mi sono servite per comprendere le parti della struttura. Ho anche scoperto che la Manifattura Tabacchi di Palermo è stata una delle prime strutture in Italia a dotarsi di un asilo nido azienda aziendale: è stato quello il momento in cui ho deciso di cambiare tutto il romanzo, facendo diventare quest’informazione il fulcro della vicenda.
Le Visioni degli scrittori
Molti scrittori confermano d’aver sentito suggestioni, quasi Visioni della propria storia. Pensi che la scrittura acuisca in qualche modo questo genere di sensibilità?
Assolutamente sì. Chi scrive sa che, molto spesso, le storie che raccontiamo non sono mai propriamente nostre.
La sensazione che ho avuto – e con questo non voglio scadere in misticismi – è stata quella di aver intercettato la volontà di queste donne, il desiderio di essere ricordate. Volevo restituire alla città di Palermo un pezzo della sua storia con la “s” minuscola, dato che siamo abituati a sentir parlare spesso solo delle grandi gesta. E poi ci sono questi racconti di vita ordinaria che rischiano di passare in secondo piano.
Come dice anche la quarta di copertina del mio libro: storicamente, il lavoro delle donne è spesso umile, silente, ma non per questo meno importante. Lo diceva anche mia nonna: alla fine è il lavoro delle donne che manda avanti il mondo.
Forse abbiamo questa abnegazione scritta nel DNA, un senso del dovere che non ricerca vanità o gloria. Quindi il mio libro voleva essere un tributo al lavoro femminile, alla sua energia e bellezza. Volevo anche sfatare il mito che vede la donna siciliana come sottomessa e succube: i Fasci Siciliani ce lo insegnano, ci sono state donne che hanno militato in prima istanza, chiedendo e rivendicando diritti per se stesse ma soprattutto per i mariti con grande coraggio e dignità, anche a costo di sacrificare la propria vita.
Credo sia doveroso, ogni tanto, fermarci e tributare loro un grande ringraziamento. Noi oggi godiamo di determinate libertà e diamo per scontati tanti diritti ma non dobbiamo mai perdere vista il passato e il loro sacrificio.
Il linguaggio e l’espressività
Come riesci a rendere così bene tutta questa sicilianità pur non essendo di origini siciliane?
Sicuramente in un’altra vita ero siciliana, non c’è dubbio. Mentre scrivevo tutto usciva in modo spontaneo. È proprio qualcosa che sento profondamente, come se dentro di me sgorgasse un ricordo già vissuto. So può sembrare strano e poco razionale però la sensazione che ho avuto io è quella di un’enorme familiarità con queste donne.
Romanzo corale: il senso dell’insieme
Il tuo è un romanzo corale: in effetti, quello che trasmetti è proprio un senso d’insieme.
Molti lettori mi hanno fatto notare che c’è tanto di Verga nel mio romanzo. Questo è sicuramente un onore ma anche un aspetto voluto: una delle mie letture preferite è stata ed è “Il Ciclo dei Vinti”. Credo che pochi autori come Verga siano riusciti a raccontare gli ultimi e a farlo con grande dignità e assoluta mancanza di pietismo e commiserazione. Questa per me è stata la più grande scuola di scrittura: pensare di raccontare la tragicità di certe vite senza mai mettere il giudizio o scadere nella retorica.
È stato difficile perché ho dovuto ricercare le parole con molta cura e attenzione, soprattutto nelle parti dedicate a Mela e Franca. Quando un autore racconta, deve restituire al lettore sensazioni vere e per farlo mi chiedevo: “a te piacerebbe essere descritta così?”. È un approccio molto empatico, ma come donna era doveroso procedere in questo modo.

La struttura di un libro
Come hai lavorato sulla struttura del testo, a livello tecnico? Qual è il tuo metodo?
Devo essere sincera, non ho fatto una scaletta.
A due terzi del romanzo, poi, ho scoperto la presenza del baliatico quindi ho dovuto cambiare drasticamente la storia. Per farlo ho riscritto tanto, buttando via molto di ciò che avevo già prodotto in prima bozza. Per me è difficile gettare il mio lavoro ma preferisco farlo piuttosto che rimaneggiarlo: ho una memoria ferrea e quando scrivo qualcosa quasi immagazzino e talvolta ritorna fuori senza volerlo.
Però, una direzione vaga l’avevo: sono insegnante di italiano quindi ho ben presente lo schema del racconto narrativo e il ritmo. Inoltre sono anche una lettrice abbastanza forte; la lettura ti dà comunque un’idea di cosa possa funzionare quindi magari una parte di me seguiva il filo di uno schema involontario.
Vite che non sono la nostra, ma ci cambiano
Questa storia ti ha cambiata?
Ogni storia ci cambia e ci apre gli occhi su realtà differenti. Noi viviamo proprio le scene e i personaggi che raccontiamo, almeno, a me è successo così.
Le storie ci danno la possibilità di vivere nei panni di qualcun altro e quindi di ampliare il nostro punto di vista.
Immaginarmi una ragazza molto povera, analfabeta, di un quartiere di pescatori, sicuramente mi ha aiutata a realizzare quanto sia stata privilegiata e fortunata nel mio percorso di studi, vita ed esperienze.
Quindi sì, una buona storia ti aiuta ad avere uno sguardo diverso su te stesso e renderti veramente conto del tuo percorso.
I personaggi letterari: come si lavora?
Come hai lavorato sui tuoi personaggi?
Per quanto riguarda il personaggio di Franca, mi sono rifatta ad alcuni lati del mio carattere, quelli più ribelli e da “avvocato delle cause perse”; spesso ho preso le difese di persone o mi sono fatta carico di cause che non mi riguardavano completamente, ma che ritenevo fossero giuste perché mi accorgevo che i diretti interessati non avevano la capacità o la forza di portare avanti le proprie istanze o far sentire la propria voce. Per gli altri personaggi, invece, ho preso spunto da alcune persone che conosco e a cui voglio bene ma anche – nel caso di Ninni – da altre, che amo meno.
Il cuore della storia
C’è un passaggio che spiega molto bene il cuore della tua storia: “Franca voleva che la condizione delle donne migliorasse, che nessuno potesse togliere loro la paga della giornata né rimproverarle se stavano male, ma più di tutto pensava ai bambini e ai neonati stretti al petto delle loro madri”.
Tu racconti una Sicilia molto imprenditoriale, di lotte per i diritti dei lavoratori, in questo caso delle lavoratrici.
Le tematiche di questo libro, pur essendo ambientato a fine ‘800 e con le debite differenze, sono perfettamente trasferibili alla nostra epoca. Conciliare il lavoro con la famiglia è una problematica ancora molto attuale e il caregiving è quasi sempre demandato alla figura femminile.
Quindi ho voluto calcare la mano su questi argomenti per dimostrare che nonostante sia passato un secolo di fatto, forse, erano più lungimiranti e più attenti allora di quanto non lo siamo oggi nei confronti dell’accudimento infantile. Infatti, nel 1890 circa, la Manifatturiera aveva al suo interno un baliatico, cioè un asilo con figure deputate l’accudimento dei bambini.
Editing e revisione del testo
Come hai vissuto l’editing del tuo testo da parte della casa editrice?
La fase di revisione è stato un momento di grande lavoro e apprendimento.
Attraverso il mio agente letterario ho fatto il primo editing. Dopodiché, quando ha ritenuto che il romanzo fosse presentabile, ha iniziato a farlo girare fra gli editori e Rizzoli ha risposto positivamente nel giro di 48 ore.
Poi ho iniziato il vero e proprio editing con Rizzoli dove ho avuto modo di capire cosa significhi lavorare con veri professionisti. Io ho firmato a novembre, il libro è uscito a giugno e posso dire di essere pienamente soddisfatta. Mi ricordo che stavo alzata fino a tarda notte, spostando blocchi di testo. Ho anche scritto il prologo: le pagine più complesse di tutta la stesura. Per fortuna ero affiancata da persone che mi hanno incoraggiata.
Posso dire d’essermi sempre affidata, accettando tutto con grande umiltà. Unico punto su cui ho mantenuto la mia linea di pensiero, però, è stato il finale del libro: era la prima parte che avevo scritto e c’ero troppo affezionata.
Le caratteristiche della buona scrittura
Che caratteristiche deve avere una buona scrittura?
Deve essere pulita, credibile e molto sincera.
Anche se lo stile non è eccelso per me queste sono le caratteristiche principali.
Ho avuto un blog dove recensivo libri e leggevo in media 120/150 opere l’anno, però una mia regola era sempre quella di avere molto rispetto anche nei confronti dei libri che non avevo amato. Piuttosto preferivo non parlarne. Su questa cosa sono stata attaccata così ferocemente da decidere di chiudere la pagina ma comunque non cambio idea: non criticherei mai un collega perché so quanta fatica c’è dietro la scrittura. E so anche che il mio punto di vista è assolutamente relativo.
Consigli di lettura
Cosa leggi e cosa consiglieresti di leggere?
Leggo molte distopie e post-apocalittici perché la narrativa un pochino mi ha saturata.
Consiglio Smarrimento di Richard Powers o L’anomalia di Hervé Le Tellierle: li ho trovati libri meravigliosi, che si discostano un po’ dal filone tradizionale a cui siamo abituati noi italiani, figli di Manzoni.
Ma anche Il mondo sommerso di J. G. Ballard e Terminus radioso di Antoine Volodine. È un genere che funziona molto all’estero; in Italia, fatta eccezione per alcuni autori, è un filone poco praticato ma credo che dobbiamo educarci anche a questo tipo di narrativa distante dai canoni classici.
Poi leggo tanta saggistica per stimolare i miei pensieri e riflessioni, specialmente a sfondo paesaggistico e climatico.
Aggiungo Mindscapes – psiche nel paesaggio di Vittorio Lingiardi o ancora, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile di Amitav Ghosh: un libro ognuno di noi dovrebbe acquistare.
Gli audiolibri
Cosa ne pensi degli audiolibri?
Ognuno di noi ha dei filoni di apprendimento, il mio purtroppo non è quello uditivo. Al contrario ho un approccio molto visivo al punto che fotografo mentalmente le pagine dei libri e ricordo se una determinata parola o frase è scritta sul foglio di destra o su quello di sinistra.
Però conosco molte persone che passano tante ore in macchina o hanno dei disturbi specifici dell’apprendimento (come la dislessia) e l’audiolibro diventa per loro un supporto fondamentale. Lo dico sempre ai miei alunni: se non riuscite a leggere cartaceo, scaricatevi un audiolibro e mettetelo in cuffia anche quando andate a fuori a fare una passeggiata.
L’importante è leggere.
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