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esercizi di scrittura creativa

Quello che segue è il testo ridotto della presentazione del libro “Scrivere per guarire” tenutasi presso la Libreria Ubik di Novara il 29.10.2022.

Scrittura come terapia è un’affermazione che oggi possiamo permetterci di pronunciare senza dover affrontare polemiche.

Certo, dobbiamo chiarire le parole terapia e terapeutico. Il termine deriva dal greco e significa ciò che crea benessere; ciò che ci fa stare bene, a livello fisico e mentale, è terapeutico.

Non s’intende dire che la scrittura curi patologie o possa sostituire prescrizioni mediche, mai. Ma ci si riferisce a una pratica, come altre, che porta sollievo, ristoro, maggiore consapevolezza di noi stessi.

Ho trattato questi argomenti durante la presentazione del mio libro Scrivere per guarire presso la libreria Ubik di Novara, intervistata dall’amica e bookteller Laura Di Gianfrancesco. Mi fa piacere condividere, in questo articolo, domande e risposte.

Dell’intervista esiste anche il video che trovate su youtube, Scrivere per guarire: presentazione.

 

Scrittura terapeutica: compagna di vita 

La scrittura è sempre stata la tua compagna di vita, vero?

Sì, non solo, la scrittura è stata spesso la mia ancora di salvezza. Ho iniziato a scrivere molto presto, da ragazzina. E poi, nel corso degli anni, la passione è cresciuta fino a diventare un lavoro. Mi occupo di scrittura creativa, sono editor, ghostwriter e writer coach. Da tanti anni, fanno parte del mio lavoro e della mia passione anche la scrittura terapeutica e quella autobiografica.

 

La Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari 

Il tuo libro ha la prefazione di Duccio Demetrio che per te è stato un incontro fondamentale.

Sì, penso che ognuno di noi potrebbe raccontare qualche incontro, magari uno o più incontri che sono stati fondamentali. Duccio Demetrio è una voce autorevole, credo la più autorevole nel panorama nazionale e internazionale, in campo di scrittura autobiografica; lui è il fondatore, con Saverio Tutino, della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Devo dire che per me è stato ed è un maestro.

Ho sempre pensato che non dovremmo avere bisogno di maestri, ognuno è maestro di se stesso però, in effetti, la guida di Duccio, con la sua grande esperienza, è insostituibile, ed è un dono. La Libera Università di Anghiari è dedicata alle scritture autobiografiche, le persone si recano nella sede dell’Università, in un borgo medievale bellissimo, in provincia di Arezzo, Anghiari appunto, e scrivono di sé, della propria storia.

Se vi capita, andate a visitare questo luogo unico.

E già che siete lì andate anche a visitare il Piccolo Museo del Diario che si trova a Pieve Santo Stefano dove sono raccolte molte scritture autobiografiche, le voci della nostra storia italiana.

Questo incontro con Duccio e il percorso alla Libera sono stati per me fondamentali perché mi hanno fatto capire che esiste un’altra scrittura, oltre quella narrativa, oltre quella creativa; una scrittura che potremmo davvero definire salvifica perché è una scrittura che ci riporta a noi stessi.

 

Scrittura autobiografica: guardare il vissuto con occhi diversi 

Se parliamo di scrittura come terapia, dobbiamo parlare di scrittura autobiografica: ci mostra il nostro vissuto con occhi diversi, con l’attenzione che solo la scrittura può dare; è una scrittura che non richiede competenze particolari, non richiede neanche la conoscenza della grammatica, della lingua: ci sono tante scritture dialettali dotate di una forza incredibile. La scrittura di sé riporta ad altre dimensioni nel rapporto personale e anche nelle relazioni con gli altri. Scrivere di sé cambia le persone.

 Tu hai scritto la tua autobiografia e hai detto che quando narriamo della nostra vita non parliamo soltanto di noi, ma di tutte le persone che nella vita abbiamo incontrato. 

Sì, io in realtà ne ho scritte due di autobiografie perché la prima l’ho scritta ma poi, alla fine, ho sentito che non conteneva la mia vera storia, ma forse la storia che avrei voluto sentire raccontare. Nel senso che se tu scrivi mentendo, la scrittura lo rivela; non intendo dire che tu scrivi con l’intenzione di mentire, ma magari te la racconti un po’, ecco, e quando ti vai a rileggere non ti riconosci. Per me è stato così, è stato difficile e spiazzante in quel momento perché ho letto una storia non del tutto vera e quindi ho ricominciato.

 

La mia storia è la tua storia 

Uno dei doni che ti porta la scrittura è quello di fare crollare l’illusione che la tua storia sia affare tuo, individuale, personale e, invece, più scrivi di te e più ti rendi conto che non puoi non scrivere anche degli altri, perché noi siamo relazione continua; da quando nasciamo siamo in relazione con gli altri, con le nostre famiglie, con i nostri genitori, fratelli e sorelle.

E quindi narrare di noi stessi è sempre narrare degli altri, questo ci fa capire che non siamo mai davvero chiusi, soli, nella nostra storia e devo anche dire che ti rendi conto che sei parte di una storia molto più grande di te, nella quale ti vai a inserire e ti spetta l’onore e il dovere di interpretare e di raccontare la tua parte. Più la racconti bene, nel senso di viverla in aderenza e coerenza con quello che tu sei, più il contributo a questa grande storia è di valore. E fa del bene a tutti.

 

L’autore dentro o fuori la storia? 

Quando un autore scrive un romanzo, dovrebbe fare un passo indietro nel raccontare la storia che ha scelto di raccontare e non entrare facendo sentire la propria voce o sostituendosi a uno o più personaggi. Nel caso invece della scrittura di sé, dove ci si pone quando raccontiamo di noi?

Io ero una delle sostenitrici dell’idea che nella scrittura creativa, cioè quando scrivi un romanzo o un racconto, devi cercare di stare fuori, lasciare vivere i personaggi, anche se stare in esterno al 100% non è possibile; noi contaminiamo le storie anche quando creiamo l’immaginario, perché comunque ha radice dentro di noi.

Nel momento in cui scriviamo la nostra autobiografia non dobbiamo preoccuparci di chi leggerà, non dobbiamo preoccuparci di quello che diremo, ma praticare una scrittura in estrema autenticità. E noi siamo dentro questa scrittura, del tutto.  Libertà per noi stessi. La scrittura è un abitare una dimensione di libertà, quindi, in quella scrittura di noi stessi, guai se non fossimo liberi. Poi possiamo decidere di non farla leggere a nessuno, possiamo sempre eliminarla, distruggerla: è nostra, possiamo farne quello che vogliamo.

 

Scrivere per guarire: una frase coraggiosa 

Dici che Scrivere per guarire è un titolo coraggioso, tu sottolinei quanto la scrittura abbia un potere appunto di guarigione, ma non può mai sostituire la medicina, la psicoanalisi, insomma tu sei molto ferma su questo punto. 

Sì, perché una scrittura non è una medicina, quando abbiamo il sentore di avere bisogno di un medico, di uno psicoterapeuta, è lì che dobbiamo andare. La scrittura la possiamo definire una cura a tutti gli effetti, ma la domanda è: da che cosa cura la scrittura?

Io penso che la prima cosa da cui ci curi la scrittura sia la noncuranza, il fatto di non dare valore a quello che viviamo e noi viviamo con frettolosità i nostri giorni, il nostro tempo e abbiamo sempre mille cose da fare; a volte, rischiamo di non prestare quell’attenzione che la nostra storia merita. La nostra storia ci rivela continuamente chi siamo.

 

La scrittura cura la confusione 

Possiamo dire che la scrittura sia anche una cura nei confronti della confusione?

Tutti abbiamo vissuto momenti di confusione: ma cosa faccio, ma cosa è meglio che faccia, questa relazione funziona o non funziona, accetto questa proposta, non l’accetto. Tante domande e tanti dubbi.

Insomma, viviamo questi momenti di confusione, la mente è nebulosa e il pensiero da solo non ci basta per fare chiarezza. Scrivendo scatta un meccanismo messo in atto dal nostro cervello: quando noi portiamo su carta quello che abbiamo nella mente gli diamo una forma, in qualche modo tracciamo dei confini e questo ci aiuta, ci guarisce dall’essere confusi, dal non sapere che strada prendere. Abituarsi a scrivere è una pratica di chiarezza.

 

La scrittura ancora di salvezza 

La scrittura è anche un’ancora di salvezza; molte persone che non l’hanno mai praticata, praticandola in momenti particolari di difficoltà, ne hanno fatta una compagna di vita. Certo, ci sono anche situazioni in cui non riusciamo a scrivere. Allora è meglio non forzare. Poi la scrittura non è l’unico strumento al mondo; c’è chi è un musicista, chi è un pittore o uno scultore. Ma posso dire che in tanti casi la scrittura ha davvero curato. Sì, c’è una vasta casistica.

 

La scrittura a mano 

La scrittura è gestualità, è ritualità, bisogna scrivere a mano?

Ognuno deve seguire quello che sente, se si trova bene a scrivere con il computer o con il telefonino va benissimo, ma è la scrittura a mano quella che permette davvero il contatto con noi stessi e con il foglio bianco. Scrivete come vi viene, nel senso di scrivere nel modo che vi è comodo, quando vi è comodo. Nella scrittura come terapia ci sono poche imposizioni. Ci sono suggerimenti dettati dall’esperienza, anche vere e proprie tecniche, sì, ma non imposizioni.

Esistono forme di scrittura, tipo quella che si chiama la conscious writing, la scrittura di coscienza: in queste pratiche consiglio sempre di scrivere a mano. Non dimentichiamo che noi scriviamo da migliaia di anni, la scrittura a mano è una gestualità che ci appartiene, il nostro cervello la riconosce nell’immediato e comunica in maniera diretta con la nostra mano, la tastiera è arrivata dopo. Scrivere a mano vuol dire usare la carta, scegliere un quaderno, una penna. C’è anche tutto un rito nella scrittura a mano che ci aiuta ad andare in profondità. Per me, il rito è quello della stilografica e dell’inchiostro.

 

La scrittura e i segreti 

C’è una cosa molto bella che tu racconti in questo libro che mi ha fatto molto riflettere. Tra l’altro, questo, secondo me, è il libro più bello che tu abbia scritto e io ho letto sempre tutto. Tu dici che ognuno di noi ha dei segreti, qualcosa che non ha mai detto a nessuno e la scrittura ci può venire incontro in questo e chiudere magari dei cerchi della nostra vita.

Non siamo sempre obbligati a rivelare tutto, viviamo in un’epoca in cui siamo spronati a condividere, a postare ogni cosa sui social. Invece dobbiamo recuperare anche il senso del “questo mi appartiene, questo è un pensiero che posso anche non avere voglia di condividere”. Quindi, è il concetto della preziosità dei nostri segreti, purché questi non pesino su di noi.

Ci sono pensieri o accadimenti che teniamo dentro e magari pesano troppo, allora possiamo non rivelarli, ma abbiamo la possibilità di scriverli. Pensiamo agli studi di Pennebaker (Leggete Il potere della Scrittura); lui, psicologo, ha studiato l’impatto della scrittura sul sistema immunitario; si è avvalso di vari esperti e ha verificato, attraverso una serie di esperimenti, gli effetti nel breve e nel lungo termine della scrittura sul sistema immunitario. Quindi abbiamo anche dei dati che dimostrano il potere curativo della scrittura; quello che ci pesa, esterniamolo attraverso la scrittura.

 

I diari di evacuazione 

Ci sono i cosiddetti diari di evacuazione, che si chiamano così non a caso, perché sono proprio i diari dove noi buttiamo fuori tutto quello che in qualche modo ci pesa e poi possono essere distrutti, eliminati.

Non siamo obbligati a tenerli o rileggerli; la rilettura della propria scrittura va fatta solo se ne sentiamo l’esigenza. Se abbiamo buttato fuori, forse non sentiamo più il bisogno di rileggere.

In un corso che ho tenuto, dedicato alla scrittura emozionale e autobiografica, abbiamo scritto qualcosa che non volevamo più che appartenesse alla nostra vita; avevamo un grande camino a disposizione, lo abbiamo acceso e abbiamo bruciato le scritture di cui volevamo liberarci. Un gesto simbolico, certo, ma utile.

 

Scrivere il diario, la prima autobiografia 

 Il diario si definisce scrittura autobiografica?

Il diario è la prima forma di autobiografia. Oltre al diario cronologico, possiamo tenere anche:

  • il diario onirico, che è il diario di raccolta dei propri sogni;
  • il diario emozionale;
  • il diario delle parole;
  • il diario dei luoghi.

Ci sono tanti suggerimenti su come tenere il diario, facciamo come ci pare e quindi scriviamo quello che abbiamo bisogno di scrivere. Però il diario è senza dubbio una pratica di autoeducazione, una modalità di monitoraggio di se stessi, meglio se quotidiana, ma, del resto, si fa come si riesce. Può essere anche una scrittura del futuro, la scrittura della visione del nostro futuro.

Tante persone hanno difficoltà a tenere il diario, perché o non riescono ad avere la determinazione di scriverlo con una certa frequenza o è proprio una scrittura con cui non si sentono allineati. In ogni caso, scrivete quando sentite la voglia, il bisogno di scrivere. Certo che riuscire a creare un’abitudine di scrittura significa migliorare, monitorare se stessi. 

Scrivere le lettere 

Mi sembra che stiano tornando le lettere, c’è davvero questa tendenza?

Le lettere, sì, stanno tornando. La lettera a se stessi è una delle pratiche di scrittura terapeutica di maggiore effetto. Pensiamo alla lettera che scrivi al te stesso bambino, visto dall’oggi. Scrivi a quel bambino, quella bambina e ti confronti con quello che eri e che sei.

Puoi scrivere anche al te stesso o te stessa che vivrà nel futuro. Poi ci sono le lettere che scriviamo a qualcuno per esprimere un sentimento, spesso di rabbia o dolore; sono le lettere che non spediremo mai, non importa, ci fa bene scriverle.

 

Quali parole ti definiscono? 

Parli spesso di scrivere le parole che ci definiscono…

Dovremmo scrivere la mappa delle parole per renderci conto che parole usiamo, a volte sempre le stesse o parole che non ci corrispondono.

Con quali parole ti definisci di solito quando ti racconti, quando ti presenti? Con quali parole ti sei sentito o sentita definire nella tua vita? Che aggettivi sono stati usati? Anche questo è interessante, perché ci fa vedere che a volte noi usiamo tante parole – le cosiddette parole ombrello – per ripararci e ci viene anche abbastanza normale.

Dedicarsi alla mappa delle nostre parole, quelle vere, quelle che sentiamo in noi, è un’altra modalità per avere sempre più consapevolezza. Perché capita che, a un certo punto, nella vita ti domandi: ma io sono davvero così? Sono davvero quell’etichetta che mi metto perché me l’hanno sempre attaccata addosso e quindi l’ho trovata già fatta?

In questi anni si parla molto dell’importanza della parola, è importante riscoprire anche le nostre parole. Quelle con cui non vogliamo più essere definiti. Quelle che desideriamo per noi.

 

L’altra verità di Alda Merini 

Quando si scrive di sé, s’intende scrivere la propria storia, si deve partire dall’inizio o no? Tu citi spesso Alda Merini.

Raccontare la propria vita può voler dire raccontare solo un giorno, un mese, un anno, se per noi sono stati “la vita”, nel senso che hanno rappresentato un vissuto importante.

Alda Merini ha scritto L’altra verità. Diario di una diversa: racconta i dieci anni trascorsi in manicomio che rappresentarono un’esperienza dolorosa e sconvolgente. Sente il bisogno di raccontare questo momento autobiografico. Non il resto.

 

Esercizi di scrittura terapeutica 

Nell’ultima parte del tuo libro ci sono degli esercizi di scrittura terapeutica, proprio per far capire che è una pratica che possiamo sperimentare tutti.

Sì, propongo una settimana di esercizi da suddividere durante la giornata. Questo tipo di scrittura appartiene a tutti e tutti la possono praticare perché non ha regole, non ha gabbie, quindi siamo liberi di scrivere quello che sentiamo. Ho voluto inserire degli esercizi perché a volte uno dice: da dove comincio? Cosa scrivo? Bisogna accendere la scrittura, quindi gli esercizi servono per dare supporto a chi non ha mai scritto e vuole iniziare, vuole sperimentare una scrittura diversa. Ma sono utili anche perché vuole seguire un percorso, avere un filo conduttore e sperimentare la scrittura introspettiva.

 

Esercizio del come stai 

La pratica più potente che possiamo mettere in atto per iniziare una scrittura come terapia è semplice: un foglio bianco, una domanda centrale, scritta in grande, in stampatello maiuscolo: COME STAI?

Sembra una domanda banale, in realtà è potente, smuove. Ci aiuta a partire con una riflessione su noi stessi. Ancora di più, a dedicare vera attenzione a come ci sentiamo, a quale sia il nostro stato d’animo in un dato momento, ma anche in un periodo della nostra vita.

La mente crea ostacoli 

La nostra mente crea ostacoli, fa opposizione, perché la scrittura porta all’inconscio; è uno degli strumenti che ci conduce nella nostra parte più profonda e alla nostra mente razionale non piace molto, quindi è difficile andare in profondità. L’importante è iniziare, far comprendere al mentale che siamo determinati. Le prime scritture vanno sperimentate da soli, per prendere le misure, poi l’essere guidati è un’esigenza che può emergere quando siamo di fronte a voler sperimentare determinati percorsi di scrittura.

 

Il ghostwriter di autobiografie 

Tu sei anche ghostwriter e ti è capitato di dover lavorare su autobiografie di altre persone, com’è l’approccio che tu hai a questo lavoro rispetto a quando lavori su di te?

L’autobiografia è scrittura di sé quindi, in genere, chi la narra e chi la scrive coincidono. Ci sono però situazioni in cui la scrittura viene affidata a un’altra persona, perché si può non avere la forza di scrivere; per una serie di motivi, perché è troppo pesante, troppo doloroso… la Libera Università forma anche per diventare raccoglitori di autobiografie.

Qui non stiamo parlando delle biografie di personaggi famosi, ma stiamo parlando di autobiografie curative e quindi è una pratica che va affrontata con molta cautela, è come entrare in una cristalleria, perché quando tu hai a che fare con la storia di una persona, di quella storia devi avere il massimo rispetto,  non ci deve essere mai nessuna forma di invadenza, devi solo raccogliere e, dove necessario, aiutare la persona a tirare fuori non quello che tu immagini ma il peso che si porta dentro,  è un terreno delicato.

Ci sono persone che vogliono scrivere l’autobiografia come lascito alla famiglia, genitori che scrivono rivelazioni che non hanno mai confessato ai figli, persone che vogliono lasciare una storia o delle informazioni per quando loro non ci saranno più.

Se ci si assume questo compito, va condotto al meglio.

 

Il dono di un libro 

C’è una domanda dal pubblico: che cosa ti ha portato questo libro da quando è uscito?

Questo libro è stato il libro più difficile in assoluto, perché ho dovuto anche un po’ scartavetrarmi per scriverlo; è chiaro che quando affronti determinati argomenti, li devi affrontare a viso aperto.

La scrittura è scartavetramento.

Ma questo libro mi sta portando la cosa più bella che mi potesse capitare: l’incontro con le persone. Intanto perché insieme affrontiamo argomenti che ci appartengono a livello umano; quindi, potermi confrontare con gli altri è davvero sempre un arricchimento. Poi ti ritrovi con il materiale per scrivere un altro libro, perché l’apporto che danno le persone è incredibile; il vero valore è la condivisione.

Io non voglio perdermi i racconti della gente, è la cosa più bella.

Ringrazio l’editore – Editrice Bibliografica– perché ha creduto in questo libro, non è così frequente oggi che un editore sostenga un’opera.

 

Nella scrittura autobiografica siamo davvero autentici? 

Quando tu racconti la tua storia puoi raccontare al massimo una verità che si avvicina – come dicono gli studiosi – al 70%. Che cosa vuol dire? Che nel momento in cui racconti la tua storia tu sei cresciuto, è passato del tempo, quel vissuto non lo vedi più come quando lo stavi vivendo, lo vedi in maniera diversa, anche se ci sono ferite che bruciano ancora.

Due fratelli, due sorelle che raccontano la storia della loro infanzia, restituiranno due storie molto diverse.

 

Scrivere le emozioni 

Ecco perché è anche importante registrare a caldo le emozioni (torniamo ai diari di evacuazione), perché poi posso rileggere qual è stato il mio vissuto che il tempo andrà a modificare.

Il fatto di scrivere nell’immediato mi aiuta a gestire l’emozione stessa, perché mi rimetto in equilibrio, e a volte la scrittura si usa anche per gestire delle situazioni dove le persone magari hanno difficoltà a contenere scoppi di rabbia, di violenza. La scrittura è una modalità di gestione delle emozioni, non di controllo. Comunque, quando hai la consapevolezza delle tue emozioni è più facile gestirle.

 

 

Intraprendere la scrittura di sé significa partire per un’avventura a tratti misteriosa, densa di colpi di scena, di territori bui da attraversare, nella speranza che la notte disveli un’alba luminosa.

Tratto da Scrivere per guarire

editare un libro

La scrittura e le relazioni sui social 

Una domanda dal pubblico: che cosa ne pensi della comunicazione social?

Da una parte, mi sento di dire grazie ai social che ci hanno permesso di poterci incontrare in una realtà virtuale e poi uscirne, penso alle tante persone che ho conosciuto via web, poi ci siamo incontrati fuori e sono nate anche delle amicizie e tanti importanti sodalizi professionali.

Oppure penso al gruppo di scrittura che ho creato su FB Il Writing Way Lab, sempre su FB, Scrittura Terapeutica; il lavoro con questi gruppi è molto importante. Così come il canale Telegram Writing Way, che gestisco dal 2016 con tanta soddisfazione. Poi ho voluto sperimentare un seminario di scrittura terapeutica online, nutrivo molti timori perché avevo trattato determinate tematiche solo in presenza: è stato un esperimento positivo, certo, manca l’abbraccio, il contatto, vedersi fisicamente rimane importante.

I social ci hanno permesso connessioni, incontri, abbiamo fatto dei corsi di scrittura dove c’erano in aula persone che stavano in Germania, in Francia, in Spagna; ho lavorato con clienti americani, per esempio, stando ciascuno nel proprio ufficio.

Dall’altra parte, dobbiamo capire che non è tanto la questione del social, ma siamo noi a doverli gestire bene, con contenuti di valore, etica, rispetto. Tutto questo non sempre c’è, purtroppo. Sappiamo bene che un’errata e scellerata gestione dei social può causare gravi danni.

Dovremmo procede così: penso, scrivo, posto. La fase del “penso” spesso la saltiamo del tutto.

 

L’importanza della Visione 

Tu ogni tanto mi chiedevi come mi vedessi tra 5 o 6 anni, alle volte mi stressavi anche con questa domanda, e anche tu esprimevi una tua visione di te stessa: quello che dicevi, lo hai poi fatto. Questo libro e la scrittura ci possono aiutare a realizzare i nostri obiettivi?

Io non penso che possiamo fare tutto e realizzare ogni cosa che ci passa per la mente. Abbiamo responsabilità, impegni, relazioni: non possiamo fare tutto, ma possiamo fare il meglio.

Nel senso: in questa situazione che vivo, in queste condizioni, quale sarebbe il meglio per me? Io faccio quello che penso sia il meglio per me e per le persone che amo. Nel momento storico in cui mi trovo, nella vita che vivo e nelle condizioni che mi riguardano c’è sempre chiara l’indicazione del meglio che posso fare.

Dico spesso “scrivere è vivere”, perché la scrittura ci aiuta a capire la vita, la scandaglia, ci dona strumenti importanti; poi mi dico: ricordati che dei due verbi – scrivere e vivere – il più importante è vivere, quindi non dimentichiamoci mai che stiamo vivendo e che la vita va vissuta e assaporata perché sa sorprenderci. Lavoriamo per essere domani meglio di oggi. Oggi meglio di ieri. Ma attenzione, non perdiamoci il tempo che stiamo vivendo. Io amo la scrittura, ma amo di più la vita.

Anni fa avresti potuto scrivere questo libro?

No, perché è frutto di tanto studio, esperienza e consapevolezza che ho acquisito nel tempo.

La mia guarigione è stata la mia autobiografia Ti aspetto qui, non questo che, invece, rappresenta la mia gratitudine alla scrittura; devo dire grazie alla scrittura per quello che ha rappresentato per me, ma soprattutto a livello personale e quindi in questo libro ho voluto raccogliere tutto quello che può essere di aiuto alle persone. C’è la volontà di diffondere tutto il bene che ci può venire dalla scrittura. Dieci anni fa, non avevo ancora gli strumenti e tanti anni di lavoro sul campo che, secondo me, sono essenziali.

Vedi, ognuno decide che cosa fare di sé, del proprio lavoro. Mi sono data questa mission: voglio che le persone sappiano che uno strumento così semplice, così democratico, così economico come la scrittura può farci un gran bene, è una pratica di salute.

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