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Scrittura come terapia

La scrittura come terapia non è più un’ipotesi ma una certezza. Per avere un confronto interessante sull’argomento ho deciso di intervistare Elena Benvenuti, psicanalista giornalista e direttore di Eifis Edizioni, non solo ma anche caporedattore di Energie Magazine, formatrice e autrice oltre che contributor di Vanity Fair.

Scrittura terapeutica: chiediti come stai

Ad Elena voglio fare subito una domanda: in quanto psicanalista e psicoterapeuta tu hai un osservatorio molto particolare per cui ti chiedo come stiamo tutti in questo periodo dal tuo punto di vista?

Stiamo vivendo qualcosa a cui non eravamo preparati e che in qualche modo non era mai successo prima e forse questo ha fatto sì che si siano create anche quelle che io chiamo “forme di pensiero globali”. Tutti noi sentiamo di farne parte, perché sono caratterizzate da un’ampiezza molto grande. Ma in questo modo perdiamo un po’ la capacità di esaminare la realtà del momento, per come è davvero e per come la stiamo vivendo personalmente. Il rischio è di lasciarsi prendere dai discorsi e dalle lamentele degli altri al punto da non riuscire più a rispondere alla domanda Come stiamo? E invece è importantissimo che ognuno si chieda Come sto io in questo momento? 

È vero che quello che sta succedendo ha dei riscontri negativi sulle vite di molte persone, ma non è detto che sia così per tutti. Quindi: Come stiamo?. Stiamo molto misti, ma in realtà soffriamo tutti quanti di questa forma di pensiero globale che ci spinge spesso a dire Che brutto periodo, come si sta male, quando invece magari un’analisi più precisa non porterebbe a un bilancio così negativo.

Come stare bene? Valutando la tua realtà

In effetti, in relazione a quello che dici tu Elena, mi viene in mente che in questi giorni parlando con alcune persone spesso alla domanda Come stai? Mi rispondono: Non dovrei dirlo, ma tutto sommato sto bene, come se non fosse giusto sentirsi in questo modo adesso. Ma è davvero così o abbiamo il diritto di dire che stiamo bene?

Ma certo che ne abbiamo diritto, anzi sarebbe molto terapeutico cominciare a permetterci di farlo. Qualche giorno fa ho rilasciato un’intervista per la rivista Vanity Fair in cui mi è stato chiesto di commentare la cover del nuovo numero del Times dove si definisce il 2020 come l’anno peggiore dell’epoca moderna. Non so se si aspettassero da me una conferma, che in realtà non hanno avuto. Il 2020 non è stato l’anno peggiore per tutti. Se lo chiediamo a un bambino siriano o palestinese che ha sofferto le pene della guerra forse per lui l’anno peggiore è già iniziato qualche tempo fa. Noi dobbiamo imparare a dire come stiamo veramente ed essere più attenti alle valutazioni che facciamo, soprattutto riguardo alla nostra vita, perché poi quelle valutazioni influiscono positivamente o negativamente su di noi.

Come gestire la paura scrivendo

Ti chiedo allora di dirmi che cosa pensi del fatto che in questi ultimi mesi le persone si siano dedicate di più alla scrittura e, da quello che leggo, lo abbiano fatto dando maggiore spazio alle loro paure. Si può dire che scrivendo si tenti di chiarire e gestire la paura? Che percezione hai tu del fenomeno come psicoterapeuta? Quali sono le paure dominanti delle persone che incontri?

Prima di tutto spenderei qualche parola per definire la paura, che troppo spesso è presa in considerazione solo per i suoi aspetti negativi, che sicuramente ha, ma ne possiede anche di positivi. La paura non nasce nell’essere umano per fargli del male, ma per metterlo in guardia dal pericolo. Quindi se riuscissimo a confinarla di più e toglierle tutta quella ingerenza mentale che l’ha gonfiata ai massimi livelli, riusciremmo anche a gestirla meglio. In questo momento le persone hanno paura soprattutto del vuoto della morte, non per forza quella fisica, ma provano quell’angoscia primaria, sperimentata fin da piccoli, che ci mette di fronte al “non conosciuto” che ci spaventa. Pare che la paura sia il primo sentimento che proviamo quando veniamo al mondo, dunque non deve avere poi tutta questa valenza così negativa come molti pensano.

L’importanza di conoscere la propria paura 

Domando quindi ad Elena come si possa gestire la paura e che cosa ci consigli in questo senso?

Conoscerla. Il primo consiglio che do è quello di provare a conoscerla e una delle azioni fondamentali per farlo è scrivere, perché trasportando i nostri vissuti sulla carta in qualche modo li poniamo ad un livello in cui sono più visibili, anche simbolicamente. Possiamo iniziare facendoci delle domande e scrivendo le risposte. Ad esempio: In questo momento, in che modo la situazione mondiale influisce su di me, generando la mia paura? Magari molti scopriranno di scrivere “In nessun modo” oppure “In pochissimi ambiti”. Così impariamo a conoscerci.

Valore e significato della scrittura terapeutica

Penso, Elena, che allora si possa parlare senza più timore di scrittura terapeutica. È così? Tu sei psicoterapeuta e nel tuo ambito questo concetto ha impiegato un po’ di tempo ad affermarsi. Cosa ne pensi? Si può dire che la scrittura sia terapeutica, tu ne fai uso, la consigli ai tuoi pazienti?

Assolutamente sì, era ora che si desse valenza a questo concetto. È chiaro che non tutta la scrittura può essere definita terapeutica, ma esistono delle modalità di scrittura che lo sono senz’altro. In terapia posso dirti che già il lavoro dello psicanalista e psicoterapeuta è fatto tanto di scrittura. Io per esempio dedico un quaderno ad ognuno dei miei pazienti, nel quale annoto tutte le nostre sedute. La scrittura di un percorso terapeutico porta ad un certo punto, e spesso anche molto velocemente, a vedere il dipanarsi di una vita, in cui si riescono a fare collegamenti incredibili che se lasciati a livello del pensiero e della mente non è possibile cogliere. Certo gli occhi esterni del terapeuta aiutano a vedere quello che da soli faticheremmo a notare, ma anche quando scriviamo noi ci renderemo conto che c’è un pattern, una sequenza, che tende a ripetersi. Esiste una simbologia tra le mille cose che accadono, talvolta con una cadenza temporale ripetitiva.

Scrivere per stare bene: perché non lo ammettiamo?

Ma nel campo medico e scientifico non è sempre stato così, però. Per chi si occupa di scrittura non è stato facile far passare il concetto che la scrittura possa essere anche terapeutica. Come mai? Quali sono secondo te le ragioni di questa ostilità?

Ritengo che questa resistenza sia stata applicata un po’ a tutte le scienze che tendono a conoscere meglio l’individuo. Spesso succede che l’uomo dia per scontate o ridicolizzi alcune cose e la scrittura è stata vista come l’azione per dare vita a favole, racconti, romanzi; quando invece da sempre è il gesto che ci permette di trasportare sulla carta ciò che a livello di pensiero è meraviglioso e magnifico, ma che ha bisogno di materializzarsi per diventare concreto. Leonardo è stato uno dei primi che ce l’ha insegnato.

Scrivere a mano

Pensando ai quaderni che tieni per i tuoi pazienti, mi viene da chiederti se tu dunque scrivi sempre a mano.

Sì, scrivo a mano. È diverso scrivere a mano dal battere i tasti, è stato dimostrato che si tratta proprio di processi neurali completamente differenti. La tecnologia ci sta venendo in aiuto e anch’io sto passando ad una scrittura digitale soprattutto per fare ordine nel materiale e migliorare la mia capacità di trovare collegamenti, ma alla base c’è sempre una scrittura a mano.

Migliora la vita con la meditazione

Tu però, Elena, sei anche autrice: hai scritto Migliora la tua vita con la meditazione, esercizi per riportare energia nella vita ed eliminare stress e ansia, e poi un libro per bambini Dada e il giardino delle sorprese, e hai anche inciso dei mantra, quindi hai un rapporto diretto con la scrittura e dunque che tipo di autrice sei, quali abitudini hai quando scrivi?

Ho molto rispetto per l’atto della scrittura e nel mio caso non è una capacità che io possa accendere o spegnere quando voglio. Ci sono giornate in cui mi sento più accesa rispetto alla scrittura e me ne rendo conto a livello di pensiero, nel senso che mi accorgo che il pensiero è più prolifico e sembra arrivare già in forma giusta per essere scritto. Allora in quei giorni posso scrivere senza problemi anche qualche ora, ma nelle giornate no è molto più difficile. Certo leggere è sempre stata per me una necessità primaria, in grado di far crescere la mia capacità di scrittura.

Vision: narra te stesso, scrivi il tuo futuro

E sapendo che tu, Elena, sei anche direttrice di Eifis editore, e come tale madrina del mio libro Vision, che sono felice di aver pubblicato con voi per tutta la cura che gli avete riservato e tuttora gli riservate, ti domando anche che cosa vedi nelle scritture che vi arrivano, che cosa cogli in queste opere, ci sono tematiche ricorrenti?

Riceviamo veramente di tutto, anche se la nostra casa editrice si rivolge ad una nicchia molto specifica, ma al di là delle tematiche particolari ci siamo accorti che i testi che ci arrivano partono soprattutto dal vissuto personale di chi li scrive, direi da una problematica personale risolta e poi evoluta in un concetto più ampio e quindi diventata utile anche per gli altri. Sono questi i testi che raccolgono anche il nostro interesse, perché sono convinta che più un autore è vicino a quello che scrive, più il libro abbia un’anima.

Scrivere di se stessi è un atto di coraggio e di autenticità. In qualche modo, significa mettersi di fronte alla propria vita e osservarla senza timore, pronti a comprenderla e a migliorarla.

scrivere di sé

Tenere un diario: una pratica di salute

Allora mi sorge spontaneo chiederti adesso che cosa pensi dell’abitudine di tenere un diario e te lo domando sia da un punto di vista editoriale che terapeutico. Anche in questo caso possiamo parlare di scrittura come terapia

Da un punto di vista terapeutico la tenuta regolare di un diario è fondamentale. Alla fine i quaderni dei pazienti che io scrivo durante le sedute, di cui ho parlato prima, non sono altro che i loro diari e se loro per primi fossero abituati a tenerli avrebbero già fatto da soli gran parte del lavoro che poi andiamo a svolgere insieme. Penso che l’abitudine di tenere un diario dovrebbe essere un insegnamento trasmesso direttamente dalla scuola, dedicherei una parte delle ore a questo, fin dalle elementari. Io per prima consiglio ai miei pazienti di tenerne uno, ma spesso incontro resistenze, un po’ perché non siamo abituati a scrivere. Nell’immaginario delle persone sono solo gli scrittori a poter praticare la scrittura, gli altri no, ma la scrittura terapeutica è tutt’altra cosa. E poi c’è anche il fatto che a volte nella vita si fa resistenza per non vedere certi aspetti dolorosi che il diario chiaramente metterebbe in luce e quindi, come non andiamo in palestra, anche se ne avremmo bisogno, così non teniamo un diario, anche se ci farebbe bene.

I bambini e il diario

Ma anche i bambini possono tenere un diario di questo tipo? E a partire da che età si comincia ad avere coscienza di sé tanto da poterne scrivere?

Sì, certo quando cominciano a scrivere i bambini già potrebbero farlo, prima però li si può aiutare a raccontare la loro storia, la loro vita, magari facendo qualche domanda e soprattutto raccontandoci a nostra volta. Sono i genitori che devono per primi raccontarsi, perché i bambini imparano attraverso l’esperienza non dalle parole, quindi narrando la nostra vita li aiutiamo ad imparare a tenere il filo anche della loro. 

I diari di famiglia

E che cosa dire anche dei diari di famiglia, le storia di famiglia, quanto è importante recuperare queste memorie?

Importantissimo. Tra l’altro sto notando purtroppo, in tanti casi nei miei pazienti, la mancanza di queste raccolte: memorie vuote nei primi 11-15 anni della loro vita; e anche quando suggerisco loro di andare a chiedere ai genitori per recuperare i pezzi mancanti, vedo che anche loro sono in difficoltà, segno che si è persa l’abitudine di raccontarsi e che il problema è diventato generazionale.

Certo, Elena, e questo mi fa pensare che la scrittura ha anche un altro grande potere, quello cioè di salvare le nostre storie dallo scorrere del tempo. Scrivendo noi rendiamo, in un certo senso, immortale la nostra storia e tramandabile. Avere delle memorie scritte della propria famiglia è un valore importantissimo, un grande dono che possiamo lasciare ai nostri figli. A volte può capitare che ci siano cose che vorremmo dire loro, ma capiamo che non sia quello il momento giusto per farlo, scrivendole allora faremo sì che il quaderno diventi il custode di quei pensieri, che un giorno però sarà nelle loro mani e potranno leggere. E in quelle frasi si può ricordare anche quanto profondo sia l’amore che nutriamo nei loro confronti.

È proprio così. Lo faccio anch’io con il mio piccolino di quasi cinque anni: sto tenendo un diario per lui in cui annoto tutte le sue conquiste, i passaggi fondamentali della sua vita.

L’automotivazione nella scrittura e il bisogno di farsi ascoltare

Tornando all’abitudine di scrivere però, quanto è importante l’automotivazione per uno scrittore e, in generale, nella vita?

L’automotivazione è un ingrediente che non deve mancare mai. Automotivarsi però secondo me non significa stilare l’elenco al mattino di ciò che dobbiamo fare, ma essere capaci di prenderci cura di noi stessi, ricercare le cose che ci fanno stare bene e ci rendono felici, autogratificarci per ciò che di buono facciamo nella vita anche di non particolarmente grandioso. Questo ci aiuta a stare nel presente e ad entrare come in un circolo virtuoso che ci stimola e ci automotiva ad agire.

E secondo te, Elena, il bisogno di scrivere nasce sempre dal bisogno di farsi ascoltare?

Ti rispondo ampliando molto il senso della domanda, perché sono convinta che una delle esigenze primarie di ogni essere vivente, quando nasce, sia quella di essere visto e riconosciuto e quindi noi andiamo in cerca di questo riconoscimento per tutta la vita. Scrivere poi è anche un modo per lasciare un proprio segno, per non essere dimenticati.

Testimonianze di vita

Sì, la scrittura come testimonianza, come traccia di sé. Ma cosa dire a quelle persone che pensano che si possa lasciare testimonianza di sé solo se nella vita si sono compiute grandi imprese e che non valga la pena di farlo negli altri casi? È davvero così o forse ogni vita ha il diritto, se non anche il dovere, di essere narrata? 

Passiamo i primi anni della nostra vita a scuola, scoprendo il mondo attraverso i segni che sono stati lasciati da altri prima di noi. Impariamo dai loro vissuti, anche dai loro errori, impariamo a perseguire i successi che altri hanno ottenuto e lo facciamo solo perché li troviamo segnati, scritti o incisi. Il passaggio delle informazioni da un essere umano all’altro, attraverso l’esperienza di chi le ha già fatte sue, è diretto e più facile da assimilare rispetto alla lettura di un libro o all’apprendimento di una tecnica.

Immedesimarsi nei personaggi e rivedere il nostro vissuto

Quindi anche immedesimarci nei personaggi dei libri che scriviamo ha un valore terapeutico, sempre? Oppure mettersi dalla parte del cattivo e rivestire i panni dell’antagonista può non farci troppo bene?

Bella domanda. Qualche mese fa abbiamo pubblicato il libro di un’autrice inglese Alison Davies intitolato Scrivi la fiaba della tua vita, in cui l’autrice prende in considerazione i personaggi delle fiabe ed è interessante vedere come ci porti ad indossare per un po’ anche i panni dei cattivi. Anche Jung ha parlato dei sé primari e dei sé ombra, per dire che noi non siamo al cento per cento buoni o cattivi, siamo più olistici di quello che pensiamo, e a volte concederci la possibilità di indossare i panni del cattivo ci serve per conoscere aspetti di noi che normalmente rinneghiamo e che ci piacciono meno. Ma è giusto farlo perché possiamo cambiare di noi solo ciò che conosciamo. Ad esempio scrivere pagine di diario in cui ci si sfoga, lasciando andare anche la parte peggiore di sé, senza giudicare né criticare, non è solo liberatorio, ma anche terapeutico. Ci aiuta a far fiorire in noi la compassione, che è forse il sentimento più alto che possiamo provare, prima di tutto nei nostri confronti, e di conseguenza anche l’accettazione di queste nostre parti più oscure.

 

La scrittura e il vissuto doloroso

Quello che dici, Elena, vale anche per il passato doloroso? La scrittura può aiutarci a rivedere un vissuto che ci ha fatto soffrire?

Ma certo. Pensiamo ad esempio di scrivere su una pagina un evento non positivo della nostra vita, poi chiudiamo il quaderno e lo mettiamo via; quando andremo a rivisitare questo scritto, sicuramente finiremo con il variare qualcosa, aggiungendo dettagli, perché quando si scrive c’è anche un lavoro non indifferente sulla memoria a lungo termine. Alla fine quello che ne risulterà sarà un aggiustamento che si avvicina sempre di più alla realtà, diverso dall’idea che ce ne siamo fatti nel corso degli anni. Non si tratta di rivivere i dolori passati, ma di risolverli. Fare finta che le cose non siano mai successe non è una soluzione e non fa diminuire la sofferenza. Per come è stato costruito l’essere umano, non gli è data la possibilità di nascondere nulla sotto il tappeto. Il passato ritorna fino a che non l’abbiamo compreso, la sofferenza irrisolta si ripresenterà sotto forma di altra sofferenza. E poi rivedere il proprio vissuto con gli occhi di un adulto più maturo lo rende diverso da come lo abbiamo guardato mentre lo stavamo vivendo.

Il coraggio di attraversare la propria storia

Sbaglio forse se dico che allora dobbiamo avere anche un po’ il coraggio di attraversare la nostra storia e presentarla a testa alta, comunque sia andata? Tu che cosa ne pensi?

Noi siamo la meravigliosa espressione di tutto quello che nelle nostre vite è successo, di bello e di brutto; e io ho incontrato spesso tante persone che, in un certo senso, si vergognano del loro passato o ne sono così schiacciate da non riuscire più a vedersi in altro modo, e invece ai miei occhi appaiono forti e capaci di aver superato prove incredibili.

Questo in effetti è qualcosa che riscontro anch’io nelle persone che seguo nella scrittura autobiografica, ma che cosa ci frena così tanto dal riconoscerci capaci di aver superato degli ostacoli e quindi, grazie a quello, di essere diventati quello che siamo? 

Penso che ci sia un aspetto sociale e culturale molto forte in tutto questo. Se pensiamo, all’educazione dei bambini, ad esempio, noi non li aiutiamo mai ad essere in grado di dire a se stessi: Sono stato bravo, perché i genitori hanno sempre paura delle inflazioni dell’ego, consigliano di volare basso e aspettare che sia l’altro a dirti che sei stato bravo. In questo modo cresciamo nell’attesa costante che il mondo esterno ci accetti, ci giudichi positivamente e ci facciamo un’idea di noi in base ai giudizi che arrivano da fuori. Invece dovremmo imparare a conoscere noi stessi da dentro e poi correggere questo punto di vista anche grazie a quello che ci restituiscono gli altri. 

Prendersi cura di sé

Ti chiedo allora se sia giusto, sempre dal tuo punto di vista, avere tra le priorità quella di volerci bene, di amare prima di tutto noi stessi oppure questo rischia di diventare a volte un atto di egoismo?

Qui entri proprio in uno degli argomenti che mi stanno più a cuore. Qualcuno un giorno disse che lo scopo della vita è Amare ed essere amati e non cercare qualcuno che ci ama e poi forse imparare anche noi a volerci un pochino bene. Diffidate delle persone che dicono di amarvi tantissimo, ma non amano se stesse, perché l’amore, come qualsiasi altra cosa, va conosciuto. Dobbiamo imparare ad amarci anche per fare in modo che questo concetto di amore evolva.

Quando dedichiamo del tempo a scrivere di noi stessi, ad indagare il nostro stato d’animo, la nostra vita stiamo rendendo onore all’esistenza. Ma stiamo anche andando in profondità e le restituzioni sono sempre preziose e spesso ci permettono di cambiare rotta e di rivedere le nostre stesse priorità.

scrivere di se stessi

Che cosa possiamo fare per stare meglio?

Allora a questo punto ti chiedo di darci qualche spunto o consiglio pratico per affrontare meglio la nostra vita quotidiana e anche questo particolare periodo storico. Cosa possiamo fare per stare un po’ meglio con noi stessi e portare più serenità nelle nostre vite? 

La prima cosa che mi viene da dire è: fermiamoci un attimo, non perché qualcuno ci sta dicendo di rimanere chiusi in casa, no. Fermiamoci veramente, tentiamo di tornare di più al corpo e meno alla mente. Il corpo ci aiuterà tantissimo a capire come stiamo davvero. Perché anche se la mente tenta di portarci verso la paura e le fobie di futuri disastrosi, di fatto io vivo qui e adesso, in questo momento, non nel passato e non nel futuro. E la mia possibilità di essere felice è qui dove sono io, dov’è adesso il mio corpo. Lui è in grado di dirci se è in tensione, è rilassato, se ha fame, sonno, se è preoccupato o disperato: ascoltiamolo. Impariamo anche ad accudirci di più, a prenderci cura di noi senza aspettare che arrivi il simbolico Principe Azzurro – per rimanere nel tema dei racconti – a baciarci, risvegliarci, farci stare bene. E se anche non abbiamo ricevuto in passato l’accudimento di cui avevamo bisogno, adesso siamo abbastanza grandi per prenderci noi cura di noi stessi in un modo autentico.

I consigli di lettura di Eifis editore

A questo punto però sono curiosa di sapere qualcosa di più su Eifis editore e per questo chiedo a Elena di raccontare quali saranno le novità editoriali e i prossimi titoli in uscita.

La novità a cui tengo di più, perché è un libro che ho fortemente voluto, s’intitola Esaurimento post partum di Oscar Serrallach, medico e ginecologo americano, che fa luce su di un argomento scomodo e spesso equivocato e cioè il malessere psicofisico della donna dopo la gravidanza. È un periodo in cui, come dopo una maratona, la mamma dovrebbe recuperare le proprie forze sotto tutti i punti di vista, ma che invece raramente è usato per questo scopo e spesso non le viene neanche riconosciuto.

L’altro libro che consiglio, l’ultimo arrivato in ordine di tempo, è un libro fotografico con una serie di scatti bellissimi, s’intitola Incensi & Smudge, l’autrice è Silvia Bianco influencer milanese tutta dedita al beauty al naturale e contiene consigli su come purificare gli ambienti in cui viviamo, anche da un punto di vista energetico.

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