
Narrazione in seconda persona: come funziona e quando utilizzarla? Prima di rispondere in dettaglio a una domanda che reputo interessante e basilare nell’ambito della scrittura, va detto che una delle scelte più importanti quando decidi di scrivere un libro è quella che riguarda la voce con cui intendi rivolgerti al lettore perché, al di là del contenuto che desideri comunicare, è determinante arrivare al pubblico nel modo più efficace e diretto possibile. Quello che vuoi dire porta con sé il modo giusto di essere trasmesso e, se sbagli tono, rischi di svilire tutta l’opera.
La percezione dei lettori cambia molto se, come autore, ti rivolgi a loro in modo diretto, coinvolgendoli e cercandone la complicità oppure mantenendo le distanze, in qualità di narratore onnisciente, ma esterno alla vicenda.
A seconda quindi dell’effetto che vuoi ottenere, ma anche del genere letterario che stai affrontando, sarà bene che tu spenda un po’ di tempo per scegliere la voce giusta.
Narrazione in seconda persona: pro e contro
Scrivere in seconda persona singolare significa dare del tu al lettore, fargli credere di essere il tuo interlocutore esclusivo e privilegiato. S’instaura fin da subito un’intesa straordinaria e chi legge diventa partecipe della storia. Sembrerebbe il modo ideale di procedere, ricco di vantaggi e senza controindicazioni e invece non è del tutto così. Intanto è molto difficile mantenere questo tono per tutto il corso di una narrazione, specie se si tratta di un testo articolato, e poi non si adatta a ogni tipo di racconto e a qualsiasi genere letterario.
Se stai scrivendo un saggio, una ricerca o una tesi, è meglio mantenere un tono più accademico e meno colloquiale. Quando si scrive un articolo, invece, si può derogare, sempre tenendo conto di quale sia l’argomento e il contesto nel quale sarà pubblicato. Sul tuo blog personale, per esempio, puoi scegliere di dare del tu ai tuoi lettori, come sto facendo io adesso, ma se scrivi per una rivista di studi letterari o scientifici ti conviene evitarlo.
Per esempio, io ho utilizzato il “tu” nella scrittura della mia autobiografia (dal titolo Ti aspetto qui ha rappresentato il lavoro di fine anno per ottenere il diploma di cultrice di autobiografia, presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari) ma l’ho usato in maniera particolare nel senso che, come voce esterna, mi rivolgo a me stessa. Penso che sia stata la scelta giusta, perché mi ha consentito di raccontare parte della mia vita da un determinato punto di osservazione; la narrazione in prima persona non avrebbe sortito lo stesso effetto.
Utilizzo della seconda persona in pubblicità
La seconda persona singolare è usata molto spesso dalla pubblicità per coinvolgere e accattivarsi la simpatia del consumatore. Essere interpellati direttamente da qualcuno ha il potere di renderci più attenti e predisposti all’acquisto. Pensa ad esempio al famoso spot degli anni ’80 in cui un bambino sfida uno straordinario campione di basket a mangiare una caramella gommosa senza masticarla. Il jingle, che ci è rimasto nelle orecchie per anni, ripeteva: “Alle morbide ***, tu resistere non puoi, devi, devi, devi, devi, devi… masticar”.
Come fai a non sentirti chiamato in causa da una canzoncina così?
Il linguaggio poetico usa la seconda persona
Anche la poesia si avvale molte volte della seconda persona, ma riguardo alla natura del “tu” che usa bisogna fare una distinzione.
Prendiamo, ad esempio, i primi versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi:
Che fai tu luna, in ciel? Dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti;
indi ti posi. […]
Ora, è vero che qui il poeta usa il tu, ma lo fa per parlare alla luna, mettendosi nei panni del pastore. Il lettore, in questo caso, non è interpellato di persona e si limita ad assistere dall’esterno all’invocazione del pastore.
Diverso il caso di Dante che, nelle tre cantiche della Divina commedia, si riserva in più di un caso di rivolgersi proprio a chi legge, per ottenere più attenzione da parte sua o per accomunarlo alla propria commozione.
A titolo di esempio, riporto una terzina dell’ultimo canto dell’Inferno, il trentaquattresimo, che suona così:
Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco.
Del resto, Dante si trova davanti a Lucifero ed è comprensibile che voglia appellarsi al lettore per sentirselo vicino e cercare di trasmettergli, con ogni mezzo, tutto lo sgomento che sta provando. Ma si tratta di casi sporadici, che sanno più di un occasionale espediente retorico che di una scelta precisa e costante di tono. Il resto della Divina commedia, infatti, non è scritto in seconda persona.
Ogni storia reca in sé la propria voce; suggerisce il tono, il ritmo e il punto di vista con cui vuole essere narrata. Chi scrive deve stare all’erta, in ascolto per cogliere l’appello della storia e rispondere a ciò che chiede.

La seconda persona nella narrativa
E arriviamo alla prosa e, in particolare, alla narrativa. Anche qui possiamo trovare degli esempi di scrittura in seconda persona; non sono tanti, ma qualcuno ce n’è e merita di essere preso in esame.
Comincio con uno davvero famoso: Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo.
Siamo nel genere del romanzo epistolare, ovvero di una serie di lettere che il protagonista, Jacopo Ortis, invia all’amico, Lorenzo Alderani, da un luogo solitario tra i colli Euganei, dove si è ritirato dopo le cocenti delusioni politiche e amorose. L’epilogo è tragico, perché l’Ortis si suiciderà. Solo dopo la sua morte, Lorenzo Alderani raccoglierà le lettere e le darà alla stampa, corredandole di una presentazione e di una conclusione.
In questo testo allora convivono due diverse seconde persone. La prima è data dal tu che Jacopo usa nelle epistole quando scrive all’amico, la seconda è invece il tu che l’Alderani rivolge al lettore per spiegargli la genesi e la natura della raccolta.
Riporto l’incipit e poche righe della prima lettera per dare l’idea di quale sia la suggestione che riesce a trasmettere il Foscolo a chi si approccia all’opera:
Al lettore
Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell’eroismo di cui non sono eglino stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovine infelice dal quale potrai forse trarre esempio e conforto.
Lorenzo Alderani
[…]
Da’ colli Euganei, 11 ottobre 1797.
Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre […]
L’uso della seconda persona in Calvino
Un caso più recente di uso della seconda persona singolare in narrativa lo offre Italo Calvino con il suo Se una notte d’inverno un viaggiatore, che lo stesso autore descrive così: Un romanzo sul piacere di leggere romanzi: protagonista è il Lettore, che per dieci volte comincia a leggere un libro che per vicissitudini estranee alla sua volontà non riesce a finire.
E qui davvero, fin da subito, chi legge ha la sensazione di sentire la voce di Calvino raccontargli vis-à-vis, i dieci incipit di cui è composto il testo.
Senti com’è potente l’inizio:
Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» […].
L’esempio di Casa di foglie
Casa di foglie è il romanzo d’esordio di Mark Z. Danielewski, uscito negli Stati Uniti nel 2000 e in Italia prima nel 2005 per Mondadori e poi nel 2019 per 66thand2nd. È indicato come uno degli esempi più emblematici della letteratura ergodica, quella cioè che costringe il lettore a compiere il lavoro di decodificazione del testo insieme a chi lo sta scrivendo (dal greco ergon = lavoro). Il coinvolgimento, quindi, è insito nella natura stessa del genere narrativo in questione, ma Danielewski lo accentua proprio ricorrendo spesso all’uso della seconda persona, a cominciare dalla dedica che precede l’introduzione e che recita così:
Questo libro non è per te.
L’appello ai lettori continua anche dopo, tutte le volte in cui la voce narrante commenta il materiale scritto che ha ritrovato e che sta cercando di ricostruire per arrivare alla storia completa. In questi casi, però, l’autore usa il voi, ossia la seconda persona plurale. Non è facile districarsi nel ginepraio di questo romanzo che utilizza vari registri linguistici e fa ricorso nello stesso tempo a diversi generi letterari, ma la sensazione che se ne ricava leggendolo è quella di trovarsi dentro a un gioco di ruolo. E senz’altro l’appello diretto dell’autore ai propri lettori contribuisce ad avvalorare questa idea. Non a caso l’uso della seconda persona è tipico soprattutto dei libri-game.
Che ne pensi? Scriveresti un libro o un racconto utilizzando la narrazione in seconda persona? Io credo che sia importante acuire la propria sensibilità e ascoltare la storia che dovrai narrare: lei sa.
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