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esercizi di scrittura creativa

Scrivere un saggio: che ci vorrà mai? Certo, è più facile che dedicarsi al romanzo, vuoi mettere? I personaggi, l’ambiente, i dialoghi… Nel saggio scegli una tesi e la porti avanti, la discuti, la confuti ed è fatta.

Se pensate questo della scrittura dei saggi ne avete letti pochi, almeno, ne avete letti pochi di validi e soprattutto non avete letto Lo spazio delle donne  di Daniela Brogi, pubblicato da Einaudi.

Daniela Brogi è una docente di letteratura italiana contemporanea all’Università per Stranieri di Siena. Il suo campo di lavoro è la narrazione, la letteratura, il cinema e le arti visive. Ha scritto saggi su Manzoni, sulla vita e la scrittura tra fascismo e dopoguerra. Io e Laura Di Gianfrancesco l’abbiamo intervistata nell’ambito della nostra Rassegna Una storia fantastica. 

Interessante però vedere da dove arriva la maestria di Daniela Brogi, quale sia stato il suo percorso di vita e di lavoro che l’ha portata a realizzare un saggio così vasto e capace di scatenare numerose riflessioni.

Iniziare a scrivere un saggio: lavorare con le persone

Quando nasce il tuo amore per la scrittura?  Quando inizi a scrivere e da che cosa sono segnati i tuoi inizi?

Sono stata la prima persona che si è laureata nella mia famiglia. Dietro di me ci sono storie, quelle dell’Italia del boom economico, dove c’erano persone che non avevano accesso alla cultura, non avevano libri in casa. Io ho potuto comprare tanti libri grazie al lavoro dei miei genitori che facevano i pasticceri e i baristi, e ho lavorato fin da piccola dentro al nostro bar. L’amore per le storie e la scrittura nasce dall’attitudine a lavorare in mezzo alle persone in uno spazio, come quello del bar, dove entrano ed escono tante storie che hai voglia di comunicare.

Come ti è venuta l’idea di dedicarti a questo libro? 

L’obiettivo di partenza di questo libro, dello scrivere un saggio come Lo spazio delle donne, era condividere il più possibile certe riflessioni e buona parte del sapere che avevo accumulato in anni di studio, di ricerche e di letture.

Ho cercato di trasformare il capitale che avevo tra le mani in sguardi, in pensieri e riflessioni che potessero essere trasversali; ho cercato di costruire una lingua che fosse personale, riconoscibile e chiara con una scrittura e uno stile che prestasse attenzione ai diversi potenziali lettori.

Lo spazio delle donne è un libro piccolo che però in qualche modo parla di tutto quello che è accaduto negli ultimi trent’anni in termini di studio, di esperienza, e anche di fatica: la fatica cheancora oggi vive una donna dentro la società circostante nel momento in cui pensa di costruire una professione, di sconfinare entrando in spazi che istituzionalmente sono, o pregiudizialmente vengono considerati, spazi prettamente maschili.

Come si prepara un saggio 

Volevo scrivere un testo che riuscisse a parlare a persone molto diverse tra loro, volevo un testo argomentativo senza la saccenteria che capita di trovare in certa critica intellettuale e accademica.

Per evitare l’effetto bricolage, ho scritto il libro ex-novo, senza ricorrere agli appunti o alle riflessioni che avevo collezionato negli anni di studio e ricerca.

In tutto il processo di ideazione del saggio è stato fondamentale il confronto con il mio editor Andrea Bosco. Se vuoi scrivere un testo saggistico butti giù un progetto in cui bisogna mettere a fuoco le idee di fondo e contemporaneamente la struttura attraverso la quale argomentare ogni idea.

C’è stato un primo step in cui gli ho mandato questo progetto e lui, leggendolo, mi ha fatto delle obiezioni che mi hanno stanato, mi hanno aiutato a farmi capire meglio, mi hanno fatto riflettere e aiutato a dialogare con quella parte diversa da me e dalle mie idee.

Per illuminare uno spazio così fuori campo non basta aggiungere nomi, né la soluzione è cancellare il passato. Piuttosto, servono altre parole e nuove inquadrature.

Daniela Brogi

editare un libro

Come scegliere il titolo di un saggio? 

A mio parere i titoli che funzionano meglio sono quelli che riescono a fissare bene una categoria, una situazione o un problema. Titoli emblematici e polisemantici che permettono a chi scrive e a chi legge di chiamare, da quel momento in poi, quel problema attraverso le parole chiave usate nel titolo del libro.

Per anni ho fatto corsi sugli spazi di certi personaggi nella letteratura, sugli spazi italiani; ho fatto e continuo a fare dei corsi per i docenti che insegnano italiano all’estero e sono sempre venute fuori delle cose bellissime sulla narrativa legata agli spazi. Avevo chiamato così, Lo spazio delle donne, il primo capitolo del saggio. Ho capito che quello era, invece, il titolo perfetto del libro.

 

Le tematiche di un saggio 

Abbiamo parlato fino adesso di spazio. Tu parli molto di “recinto di minorità” che rende subito l’idea di questo spazio chiuso in cui la donna effettivamente è stata chiusa per secoli. Usi anche un’altra espressione molto forte di Jacky Fleming che parla di “pattumiera della storia” all’interno della quale la donna si è dovuta gestire per secoli. Entriamo, allora, nel merito di alcuni temi presenti in questo libro.

Mi sono concentrata sulle cose che mi parevano più essenziali da dire, perché volevo essere diretta ma sintetica. Uno dei temi più importanti riguardava proprio la questione dello spazio storico che le donne non hanno avuto. Esistono centocinquant’ anni almeno di libri scritti dalle donne sulle donne che fanno riflettere sulla loro storia, sulla loro posizione o sul mancato riconoscimento del valore del loro lavoro a qualsiasi livello.

Ho messo a fuoco 5 spazi attraverso i quali potevo discutere della sotto rappresentanza, del mancato riconoscimento delle donne e anche di tutti i luoghi comuni del cosiddetto maschilismo benpensante.

Questi spazi sono:

 1) l’abisso in cui sono state proprio nascoste le donne

 2) il recinto

 3) le mappe che noi possiamo fare o non fare

 4) il fuori campo attivo  

 5) l’interstizio.

Il “recinto di minorità” è lo spazio reale e simbolico in cui spesso le donne sono state messe e tenute.

Timeline: una scelta utile 

Nel libro c’è una Timeline: si tratta di una timeline di 12 date storiche che ci aiuta a comprendere ancora meglio il concetto di “recinto di minorità”.

Fino agli anni ’60, per esempio, le donne non potevano accedere a certe carriere, non potevano studiare né andare all’università poiché erano sotto la patria potestà. Fino al 1956 è stato in vigore lo ius corregendi cioè il diritto che del marito o del padre di correggere i figli e la moglie. Questi sono solo alcuni esempi di “recinto di minorità” sistematica cioè del sistema di insicurezza e di stress normalizzato in cui le donne sono sempre state tenute. Ancora oggi il lavoro femminile è svalutato e sottopagato, il genere femminile è il genere di quell’umanità che, malgrado appartenga alla maggioranza, è da discreditare, da non prendere sul serio quando scrive, quando lavora, quando insegna e persino quando cucina. Anche figure femminili che hanno segnato la storia della letteratura italiana contemporanea, come Grazia Deledda per esempio, faticano a trovare il giusto spazio di riconoscimento nei manuali di letteratura.

Grazia Deledda è stata l’unica donna italiana ricevere il Premio Nobel per la letteratura, la storia e la scrittura. La scrittura di Deledda è strepitosamente interessante perché lei porta la Sardegna in Italia in termini linguistici e tematici. La scrittura di Grazia Deledda, da sempre considerata naif, in realtà richiede sguardi, strutture e categorie non patriarcali.

 

La paura delle donne 

Tu dici che quella femminile è stata l’unica rivoluzione del ‘900 che ha funzionato, che è andata bene. Sostieni anche che il ‘900 è stato il secolo della paura delle donne.

La paura delle donne è un genitivo soggettivo e oggettivo: si tratta sia della paura che hanno le donne quando cominciano a studiare e a voler frequentare le accademie, a voler entrare nei collegi universitari normalmente riservati ai ragazzi, sia  delle donne operaie, quelle che riempiono le fabbriche e che, guadagnando qualcosa, cominciano a essere più autonome. Anche la moda ci racconta bene l’emancipazione delle donne negli anni ‘20 e inizi anni ‘30: basta pensare alla moda dei capelli alla maschietta e agli abiti morbidi. Il fascismo butta fuori le donne dal lavoro e stabilisce che l’unica professione a cui devono pensare è quella della massaia; a quel punto anche il canone estetico cambia e nasce il mito della donna prosperosa, madre e moglie perfetta.

Il ‘900 è il secolo dell’affermazione delle donne e dei loro diritti; a metà degli anni ‘40, nel secondo dopoguerra, guadagnano il diritto al voto ed è chiaro che tutto questo crea un vero e proprio terremoto perché, in qualche modo, crolla il grande mito patriarcale dell’angelo del focolare. La psicanalisi scopre sé stessa attraverso l’isterica, una figura emotiva molto accattivante e Freud fonda la psicanalisi studiando le isteriche.

Quando parliamo di paura delle donne possiamo intendere come prima cosa il modo diverso, anche spaventato, con cui gli uomini guardano a queste donne che cominciano a entrare in scena; la paura delle donne è anche la paura che viene fatta alle donne che sono terrorizzate e spaventate perché laddove c’è il potere c’è anche la paura e la persona sottomessa e dominata è tenuta in una condizione di subalternità attraverso la paura delle botte, la paura di essere presa in giro, di essere esclusa, derisa, umiliata e non riconosciuta. Questi sono tutti recinti di minorità.

C’è poi anche la paura che le donne hanno di sé stesse perché il dominio e il potere fanno sì che la persona oggetto di una logica di potere introietti, a sua volta, il punto di vista del dominatore.

Tre grandi donne 

Nel saggio fai l’esempio di tre grandi donne del ‘900, Oriana Fallaci, Elsa Morante e Natalia Ginzburg, che avevano qualcosa di mascolino nel loro presentarsi e nel modo di portare avanti la loro professione.

Tutte arrivano da un mondo in cui essere brava significa essere il più possibile somigliante a un uomo, tant’è vero che anche fisicamente Morante e Ginzburg hanno proprio un’attitudine un po’ mascolina. Fallaci fa una cosa diversa, anche dal punto di vista iconografico, andando in Vietnam con le treccine. Sono tre donne molto diverse ma accomunate da un sistema patriarcale e appartengono a un tempo in cui essere autrici di libri belli significava definirsi scrittori.

Il femminismo, anzi i femminismi, sono i tipi di culture che hanno smantellato e smantellano il maschilismo ancora oggi: è grazie a certe battaglie che hanno compiuto le donne che noi possiamo stare qui a parlare. Nulla è mai stato regalato alle donne che, invece, hanno sempre dovuto impegnarsi più degli uomini e lottare per ottenere qualcosa. Ci sono donne emblema del femminismo e delle sue battaglie. Basti pensare a Linda Poet, la prima avvocata donna, a Christine de Pisan, la prima donna a fare della scrittura un lavoro già agli inizi del 1400.

Solidarietà femminile e sostegno 

Quanta strada abbiamo fatto e quanta ne dobbiamo ancora fare per vedere che non siano le donne le principali nemiche delle donne. A che punto siamo, secondo te, nel cammino della solidarietà femminile e del sostegno?

Secondo me siamo a un punto buono che, però, è sempre minacciato e precario, soprattutto se ragioniamo in termini internazionali. Stanno accadendo intorno a noi delle cose atroci legate a un patriarcato culturale e politico forte e aggressivo; è necessaria la costruzione di una cultura del rispetto nei confronti di tutte le diversità. Siamo già una società estremamente plurale, quello che ci manca è una cultura della pluralità. In questo senso il femminismo ci aiuta a decostruire quei punti di vista che si sono vissuti e rappresentati come punti di vista unicamente maschili. È proprio una questione di politica di diritti che vanno riconosciuti e di libertà che noi dobbiamo in qualche modo costruire per a beneficio delle nuove generazioni.

 

Consigli di lettura 

Nel tuo saggio troviamo una bibliografia vasta e interessante. Ci dai qualche altro consiglio di lettura?

Sulla scrivania ho Il mio noviziato di Colette in cui racconta del suo matrimonio con tale Willy, grande personaggio parigino di fine Ottocento, con cui lei si sposa e che firma i primi romanzi di Colette, bruciando ovviamente i diari affinché non si scopra l’inganno. Dopo una decina d’anni, Colette trova il coraggio di lasciarlo e di firmare da sola i propri testi.

Altro consiglio di lettura è La Sibilla. Vita di Joyce Lussu  di Silvia Balestra.

Un altro ancora è La Resistenza delle donne di Benedetta Tobagi per Einaudi.

Mi piace citare Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti, punto di riferimento di generazioni e generazioni che ancora non è considerata come una delle protagoniste del pensiero e della filosofia italiana del secondo Novecento.

Ci sono i libri di Laura Lepetit, fondatrice della casa editrice La Tartaruga. Autobiografia di una femminista distratta è uno dei suoi scritti più interessanti.

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