
Regole per scrivere bene: esistono norme universali?
Chi scrive, prima o poi, si domanda quali siano le regole per scrivere bene. Se ci sia una sorta di vademecum che ci tenga al sicuro dalle trappole nascoste della lingua, permettendoci di produrre contenuti di qualità.
Una premessa è doverosa: parlare di scrittura in senso lato senza fare riferimento alle molteplici declinazioni di generi, contenuti e forme che la possono connotare può sembrare una banalizzazione.
Sappiamo infatti che un conto è scrivere narrativa (fiabe, romanzi, racconti, biografie), un altro affrontare la saggistica (tesi, ricerche, trattati), un altro ancora dedicarsi a testi giornalistici (articoli, servizi, reportage): le tecniche cambiano e gli stili seguono logiche e finalità differenti.
Tutto vero, ed è bene conoscere sempre le caratteristiche del tipo di scrittura che intendiamo praticare prima di cimentarci nella stesura di qualsiasi testo. Esistono tuttavia regole per scrivere bene, norme e principi di carattere universale che trascendono genere e stile e che si possono considerare i capisaldi della buona scrittura.
Quando ci troviamo davanti a testi in cui sono applicati, ricaveremo senz’altro un’opinione positiva, a prescindere dall’argomento trattato, ci troveremo cioè tutti d’accordo nel ritenere che quel dato autore o autrice sanno scrivere davvero bene.
Tutti coloro che si servono della scrittura per comunicare, fosse anche per redigere un’e-mail, un post o un curriculum vitae, sono coinvolti nel discorso, perché dare prova di conoscere le regole fondamentali del linguaggio scritto, oltre a essere un ottimo biglietto da visita, denota attenzione e rispetto nei confronti di chi leggerà.
Scrivere bene significa curare la forma
Vediamo allora insieme quali sono i principi fondamentali della buona scrittura, cominciando da quelli che riguardano, in modo particolare, la forma.
Correttezza
Un testo ben scritto è un testo corretto, vale a dire privo di errori di natura ortografica, morfologica e sintattica. Dunque la prima regola è: conoscere la grammatica.
L’ortografia identifica l’insieme delle convenzioni normative che regolano il modo di scrivere una lingua considerato corretto in un dato momento storico. Riguarda la grafia delle singole parole, ma anche l’uso dei segni di interpunzione (virgole, due punti, virgolette, punto, ecc.)
La morfologia analizza la forma delle parole (morphé = forma + lògos = discorso) in relazione alla funzione che svolgono e dei significati che rivestono all’interno della frase (nomi, aggettivi, verbi, articoli, ecc.).
La sintassi è lo studio dei rapporti tra le varie parti del discorso, utili per formare le proposizioni (soggetto, verbo, complemento, ecc.).
Dotarsi di una buona grammatica, a cui ricorrere ogni volta che il dubbio ci assale, è il consiglio che mi sento di dare a chi voglia migliorare la propria scrittura. E tenersi aggiornati, sì perché la lingua evolve, cambia, si trasforma e anche la grammatica può modificarsi nel tempo, benché i pilastri fondamentali, su cui si basa, tenderanno a mantenersi ben saldi e inalterati.
Chiarezza
La buona scrittura è quella che sa farsi capire, quella che, mentre si legge, scorre fluida senza inceppamenti, fila liscia come una musica e spiega con naturalezza i propri contenuti in modo da renderli comprensibili a chiunque. I bravi scrittori sanno esprimere con chiarezza concetti complicati e non c’è operazione più impegnativa di questa. La semplicità è un risultato molto difficile da ottenere.
Applicare le regole per scrivere bene, però, non significa soltanto dimostrare di conoscere le norme che attengono alla lingua in uso, ma anche saper padroneggiare gli argomenti che si decide di trattare. E allora ci sono altri principi fondamentali da tenere presente, quando si scrive, come la coerenza e la verosimiglianza.
Coerenza
Nella narrativa si chiama trama, nei saggi tesi, negli articoli cuore della notizia: comunque la si metta, quando si scrive per qualcuno, bisogna riuscire a portarlo dentro il nostro ragionamento o immaginario. Occorre quindi seguire una logica rigorosa nell’esposizione ed essere sicuri che l’impianto non vacilli, prestando il fianco a contraddizioni, anacronismi, incongruenze. Non c’è peggiore lettura di quella priva di nesso logico.
Verosimiglianza
Questo è un principio che occorre tenere presente soprattutto nella stesura di racconti o romanzi, a qualsiasi genere appartengano. Vero e verosimile non sono la stessa cosa e mentre il primo non costituisce affatto una condizione sine qua non di una narrazione, a meno che non la si voglia basare su fatti o situazioni realmente accaduti, del secondo non si può proprio fare a meno.
Si possono inventare ambientazioni, personaggi, vicende, si può scegliere di includere la magia, il soprannaturale e il fantastico nelle storie, ma non ci si può permettere di non darne adeguata spiegazione. Il lettore è disposto a sospendere il giudizio, quando stringe il proprio patto con lo scrittore, ma non di vedersi tradito da macroscopiche cadute narrative, da soluzioni sbrigative o da colpi di scena fortuiti, introdotti al solo scopo di risolvere una situazione da cui l’autore, per primo, fa fatica a districarsi.
So quanto sia importante per me la finzione, perché se voglio esprimermi devo inventare una storia, qualcuno la chiama immaginazione, per me non è immaginazione, è solo un modo di guardare.

Il dono della sintesi
Non si tratta di chiedersi se sia meglio scrivere poco o tanto: non esiste un rapporto diretto tra qualità della scrittura e quantità di testo prodotto. Quando si menziona il dono della sintesi, si fa riferimento al pregio tipico di quelle scritture che riescono a essere pregne di significato, pur mantenendosi snelle. Con un ossimoro potremmo parlare di profonda leggerezza.
Scrivere bene, quindi, significa anche essere capaci di puntare all’essenzialità, riuscire cioè a dire tutto, senza dilungarsi troppo.
Per riuscire nell’intento, bisogna disporre di un’ottima proprietà di linguaggio, usare il termine giusto senza inutili giri di parole ed equilibrismi verbali. Il ricorso a un buon dizionario dei sinonimi e contrari può aiutare nella ricerca del vocabolo migliore e, nello stesso tempo, consente di variare la natura degli enunciati, evitando sgradevoli ripetizioni.
Italo Calvino e le sue Lezioni americane
Anche Italo Calvino volle teorizzare i cardini fondamentali della buona scrittura e lo fece nelle sue celebri Lezioni americane del 1985. Fu l’Università di Harvard a chiedergli, in quello stesso anno, di tenere delle conferenze sull’argomento. Il sopraggiungere di una morte improvvisa per ictus non gli consentì, però, di ultimare il lavoro né di tenere le conferenze. Delle sei argomentazioni, che Calvino avrebbe voluto trattare, ce ne rimangono cinque, a cui si aggiunge il titolo senza svolgimento della sesta e sono:
– leggerezza,
– rapidità,
– esattezza,
– visibilità,
– molteplicità,
– consistenza.
Sulla leggerezza Calvino ebbe modo di esprimersi in questi termini: leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. È un modo diverso di guardare la realtà, capace di trasformare la tristezza in malinconia e il comico in ironia.
La rapidità ha molto a che fare, invece, con l’economia espressiva, vale a dire con l’essenzialità di cui ho parlato prima. Significa arrivare all’espressione migliore, trovando il “mot juste”, il che talvolta si ottiene per folgorazione improvvisa, ma più spesso a fronte di una ricerca lunga e sofferta.
L’esattezza si ottiene invece quando lo scrittore ha in mente un disegno preciso della propria opera, riesce a evocare immagini nitide e incisive e usa un linguaggio preciso per esprimerle.
La visibilità, a cui fa riferimento Calvino, non è quella a cui potremmo pensare noi oggi, ma la capacità dello scrittore di creare immagini visive e di tradurle poi in un linguaggio fruibile da tutti.
La molteplicità è la dote di chi sa guardare e descrivere il mondo nella sua complessità, senza banalizzazioni e superficialità. Il rischio, però è quello di lasciarsene travolgere, prestando il fianco a divagazioni e indugiando sui dettagli.
Revisione testi e fase di editing
Sbaglia chi crede che l’atto della scrittura si esaurisca con la fine della stesura di un’opera. Le regole per scrivere bene comprendono anche rivedere, rileggere, revisionare, reinterpretare i propri testi.
Quella dell’editing è una fase fondamentale dell’intero processo. Si tratta di un’azione che va ben oltre la semplice rilettura, perché è proprio qui che, considerando il lavoro nella sua globalità, è possibile testarne coerenza, stile e solidità.
Esiste una specifica figura professionale specializzata in questo, è quella dell’editor, ma io consiglio sempre agli autori di fare loro stessi il primo editing del testo, perché chi lo ha scritto sa bene quale sia l’idea che ha voluto trasmettere e si rende conto subito se il modo in cui è stata resa risulta efficace.
Le parole ci rappresentano e vanno cercate con estrema attenzione: un buon editing passa al vaglio ancora una volta la forma e il linguaggio utilizzati e si domanda se la voce dell’autore riesca a emergere come merita.
Leggere per scrivere meglio
La miglior scuola di scrittura è la lettura. Rimango sempre molto perplessa di fronte a quegli autori che dicono di non leggere perché non vogliono rischiare di contaminare il proprio stile. Ma la lettura degli altri, specie di quelli più bravi, non ci espone a nessun rischio, anzi, ci offre solo vantaggi e occasioni continue di apprendimento. Si aprono finestre su parole e modalità espressive diverse, emergono voci differenti, ritmi e musicalità nuove.
Certo occorre leggere con attenzione e metodo, prendere in considerazione le varie parti che costituiscono la narrazione: i dialoghi, le descrizioni, la resa dei personaggi, la struttura della storia, il susseguirsi delle scene.
Più si legge e più ci si rende conto di quanto il modo di condurre la narrazione incida sulla percezione che ricaviamo della stessa. A volte, per esempio, di fronte a certe pagine facciamo fatica ad andare avanti oppure ci annoiamo, altre volte proviamo fastidio. Quando s’impara a leggere con metodo si arriva anche a capire come mai questo accada, quali siano cioè gli elementi che disturbano, intralciano o non sono stati resi come si deve.
Viceversa, quando dalla lettura ricaviamo piacevolezza, entusiasmo, voglia di proseguire senza fermarci mai, vuol dire che l’autore ha usato con sapienza tutti gli strumenti tecnici e linguistici a sua disposizione per ottenere quel dato effetto. Riconoscerli ci permetterà di usarli a nostra volta quando a scrivere toccherà a noi.
Imparare a leggere bene aiuta anche a cogliere le diverse voci degli autori e, alla lunga, a riconoscere la nostra. Il modo di condurre la narrazione, la predilezione per il fraseggio breve o che procede per coordinate (stile paratattico) piuttosto che articolato e ricco di subordinate (stile ipotattico) ci consente di individuare il terreno linguistico in cui ci troviamo più a nostro agio.
Una volta acquisito l’occhio del lettore attento, sarà possibile cogliere continui insegnamenti da qualsiasi lettura decideremo di affrontare, buona, mediocre o cattiva che sia. Da quelle buone apprenderemo come si fa a scrivere bene, dalle peggiori che cosa non si deve fare per raggiungere lo stesso scopo.
Ti consiglio la visione del Video “Leggere bene per scrivere meglio”
Esercizi per scrivere bene
Affinché questa modalità di lettura critica e ragionata dei testi altrui non rimanga soltanto una buona teoria, ma incida in modo concreto sulla qualità della nostra scrittura, dobbiamo poi allenarci.
Il segreto per scrivere bene è l’esercizio costante e mirato.
Prima di cimentarci nella stesura di un testo nostro, proviamo a riscrivere qualche pagina dei testi altrui. Questo è un ottimo esercizio che consiglio spesso di praticare agli autori che vogliono migliorare nella scrittura.
Basta scegliere un libro dalla nostra libreria, meglio se di un autore bravo, munirsi di matita e segnare tutto quello che, tra le pagine analizzate, riteniamo possa essere migliorato o che noi avremmo reso in modo diverso.
- Che verbi sono stati usati?
- Si riscontrano ripetizioni di termini e parole uguali?
- Ci sono avverbi superflui che appesantiscono la lettura?
- Come si sarebbero potuti evitare?
Una volta evidenziate le stonature, toccherà a noi riscrivere quelle stesse pagine adottando le soluzioni morfologico-sintattiche che riteniamo più opportune. La nostra analisi potrebbe non limitarsi a considerazioni di natura linguistica e arrivare a contemplare giudizi di carattere strutturale.
Ad esempio:
- qual è il punto di vista adottato dall’autore?
- Chi racconta la storia?
- Viene usata la prima o la terza persona?
- E le forme verbali sono coniugate al presente o al passato?
Potremmo scoprire di non essere d’accordo con tutte le soluzioni scelte dall’autore e individuare modalità narrative diverse, secondo noi più efficaci. Rielaboriamo allora le pagine lette in base al nostro gusto e mettiamole per iscritto.
Anche ricopiare a mano le pagine di quei libri che più ci hanno colpito rappresenta un ottimo esercizio. Il gesto lento della riscrittura costringe a ragionare sulle singole parole e sui tipi di costrutti usati dall’autore, e questo ci porta a interiorizzarli e a farli nostri.
Umberto Eco: regole di scrittura
Umberto Eco non ha bisogno di presentazioni, noto tanto al mondo accademico e intellettuale quanto ai lettori comuni. Tra le tante competenze che ha potuto vantare ci fu anche quella di semiologo, vale a dire studioso dei segni e delle corrispondenze strette fra significante e significato. Le parole, il loro uso, i contenuti della comunicazione sono sempre stati al centro della sua attività.
Anche lui ha affrontato la questione di quali siano le regole dello scrivere bene e lo ha fatto, da par suo, stilando un elenco di 40 punti, divertendosi a contraddire nella forma il principio che andava asserendo nel contenuto.
Volete qualche esempio?
La numero 3 recita: Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
La 7, che riguarda un argomento a me molto caro, dice: Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
La 13 ha a che fare con l’essenzialità: Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
La 19 tocca il tasto dolente della punteggiatura: Metti, le virgole, al posto giusto.
Sono tutte degne di nota e se volete leggere l’elenco completo potete farlo qui
Capire i linguaggi umani, imperfetti e capaci nello stesso tempo di realizzare quella suprema imperfezione che chiamiamo poesia, rappresenta l’unica conclusione di ogni ricerca della perfezione.

La routine quotidiana di Haruki Murakami
Ogni scrittore ha i propri riti, perché se si vuole fare della scrittura il proprio mestiere è necessario autodisciplinarsi e riservarle uno spazio e un tempo precisi. Haruki Murakami ha avuto più volte occasione di ripetere, a chi lo intervistasse, che la pratica della scrittura è diventata per lui una routine rigorosa, fatta di sveglie all’alba, lavoro ininterrotto per almeno 5-6 ore, pratica di attività sportive pomeridiane, lettura e ascolto di musica (altra sua passione incondizionata). E alle 21: si va a dormire.
Il suo è un modello, rigoroso come solo un maestro giapponese può concepire; non è per tutti possibile replicarlo, l’importante è trovarne uno congeniale e seguirlo. Le deroghe fanno male alla scrittura.
Il consiglio di Chuck Palahniuk
Lo scrittore statunitense Chuck Palahniuk, autore di Fight Club, divenuto un best seller dopo l’uscita dell’omonimo film nel 1999, ci offre un consiglio, riguardo alla scrittura, in questi termini:
Due anni fa, il primo di questi saggi che scrissi riguardava il mio metodo di scrittura a “timer da cucina”. Non hai mai letto questo saggio, ma ecco il metodo: quando non ti va di scrivere, imposta un timer da cucina su un’ora (o mezz’ora) e siediti a scrivere finché il timer non suona. Se ancora non ti va di scrivere, sarai comunque libero in un’ora. Ma di solito, non appena il timer suona, sarai così coinvolto e divertito dal lavoro che continuerai. Al posto del timer, puoi azionare una lavatrice o una lavastoviglie e usarle come cronometro. Alternare all’impegno della scrittura il lavoro ripetitivo di queste macchine ti darà le pause necessarie per le nuove idee e le intuizioni di cui hai bisogno. Se poi non sai come continuare la storia… pulisci il bagno, cambia le lenzuola, per amor del cielo, spolvera il computer. Arriverà una idea migliore.
Con ironia e apparente disimpegno, Palahniuk esprime in realtà concetti molto importanti: quando ci si dedica alla scrittura non bisogna fare che quello, consacrarle un tempo prestabilito e concentrarsi. Il lavoro funziona solo se siamo coinvolti e se ci divertiamo, se sappiamo fermarci per una pausa, quando ci rendiamo conto che ne abbiamo bisogno o ci accorgiamo che l’idea alla base dei nostri scritti non funziona. Allora dedichiamoci ad attività diverse, viviamo e cerchiamo altrove un’idea migliore.
Le regole di Virginia Woolf
Il nome della britannica Virginia Woolf (1882-1941) è associato quasi sempre al libro Una stanza tutta per sé, il cui argomento bene si adatta con il concetto, ricordato sopra, secondo cui è fondamentale per chi scrive ritagliarsi un luogo e un tempo stabiliti da dedicare all’attività, ma le sue riflessioni sulla scrittura vanno oltre quest’idea. La Woolf fu anche editrice, fondò nel 1912 la casa editrice Hogarth Press ed ebbe modo di incontrare parecchi scrittori e giovani talenti letterari, a cui diede senz’altro consigli riguardo all’arte dello scrivere bene. Molte delle sue considerazioni in merito sono state da lei trascritte anche nel diario che ha tenuto regolarmente dal 1918 al 1941.
Nasce così Consigli a un aspirante scrittore in cui sono condensate alcune sue importanti considerazioni sulla buona scrittura. Divise in tre sezioni, Leggere, Scrivere, Pubblicare, le pagine della Woolf restituiscono con esattezza le sue idee e opinioni non solo riguardo alla scrittura in generale, ma anche nei confronti degli autori suoi contemporanei e non.
Virginia Woolf esordisce con una sentenza categorica, che di fatto non sembra un consiglio, ma in realtà lo è:
L’unico consiglio che una persona può dare a un’altra sulla lettura è di non accettare consigli, di seguire il proprio istinto, di usare la propria testa, di arrivare alle proprie conclusioni.
Il parere di Daniel Pennac
In un libro-intervista intitolato Il mondo di Daniel Pennac a cura di Fabio Gambaro, il famoso autore francese della saga di Benjamin Malaussène risponde riguardo a parecchie questioni relative alla scrittura e alla lettura. Quando gli viene chiesto il senso di scrivere un romanzo, dice:
[…] Per me, narrare è un modo di percezione del tutto particolare, legato alla capacità di cogliere il mondo in termini metaforici: raccontare una storia significa proporre una spiegazione metaforica del mondo. Per questo dedico molta attenzione alla ricerca di parole adeguate a quello che sto raccontando, parole che sono scelte non solo in funzione del significato, ma anche del suono, del ritmo e del colore.
Ne deriva che, se si condivide lo stesso punto di vista di Pennac, le storie non ricoprono soltanto una funzione di puro intrattenimento, ma di autentica interpretazione della realtà. La scrittura allora, che è lo strumento utile per veicolarle, partecipa del mondo e ci aiuta a decodificarlo. Chi scrive dovrebbe sempre avvertire la responsabilità del proprio gesto.
Non posso concludere questa dissertazione sulle regole della buona scrittura senza citare uno dei maestri indiscussi della letteratura del Novecento, Ernest Hemingway, riportando una sua frase che è insieme un monito e un capolavoro di essenzialità e che dovrebbe essere incisa a chiare lettere sopra la scrivania di ogni scrittore:
Ricordati che la prosa è architettura, non decorazione di interni.
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