esercizi di scrittura creativa

La narrazione: chi racconta la storia?

Ogni narrazione, per sua natura, presuppone che ci sia qualcuno che la racconti. È questo il ruolo del narratore. 

Tuttavia, quando ci troviamo di fronte a un testo letterario, racconto o romanzo che sia, sappiamo bene che autore e narratore non sono la stessa cosa.

L’autore è chi scrive la storia, ma il narratore è colui al quale è affidato il compito di raccontarla. A volte le due figure coincidono, cioè l’autore si assume anche il ruolo di narratore, altre volte no. Quindi, a seconda della scelta che compie l’autore, si potranno avere tipi di narrazioni diversi. Per distinguere le tipologie si dovrà allora fare attenzione non solo alla voce del narratore ma anche al genere di focalizzazione utilizzato.

Se vuoi dunque capire quale soluzione narrativa abbia adottato l’autore del libro che stai leggendo, prova a individuare chi ne sia il narratore e da quale punto di vista (o focalizzazione) la stia guardando.

E allora vediamo insieme quali possibili scelte può aver adottato.

 

Narratore esterno con focalizzazione zero 

Detto anche narratore eterodiegetico onnisciente, è quello che si pone al di fuori della storia che racconta, la conosce tutta per filo e per segno, sa bene anche quali siano i personaggi, come siano fatti, perché abbiano agito in un modo o nell’altro, che cosa abbiano pensato e sentito durante la vicenda.

Insomma, sa tutto di tutti. Si limita a riferire ciò di cui è al corrente, senza esprimere giudizi o entrare con proprie considerazioni: c’è, ma non si vede. 

In questo caso si parla anche di focalizzazione zero, nel senso che il racconto è riportato dal punto di vista del narratore e non da quello di qualche personaggio.

Quando un autore sceglie di indossare i panni di questo tipo di narratore, dovrà usare la terza persona per raccontare la storia e stare ben attento a non far sentire la propria voce: il lettore non deve riconoscerlo nelle pieghe del racconto, scovarlo nella battuta di questo o quel personaggio, intuire che cosa pensi in cuor suo di ciò che mette in scena. Se questo succede, vuol dire che l’autore non è riuscito a mantenere fede al tipo di voce e di punto di vista su cui ha inteso impostare la narrazione.

Un esempio di questo tipo di voce si può trovare ne Il richiamo della foresta di Jack London. Qui riporto l’incipit nella versione di Einaudi del 2014:

“Buck non leggeva i giornali, altrimenti avrebbe saputo quale guaio stava bollendo in pentola, non per lui soltanto, ma per tutti i cani d’una certa mole con forte muscolatura e un caldo e lungo pelo, dallo stretto di Puget fino a San Diego. Giacché annaspando nelle tenebre artiche gli uomini avevan scovato un biondo metallo, e linee marittime e compagnie di trasporti davano risonanza alla scoperta, migliaia e migliaia di persone accorrevano verso le terre del Nord. Questi uomini avevano bisogno di cani, e i cani di cui abbisognavano dovevano essere robusti, con forte muscolatura per sostenere le fatiche e un folto pelo per proteggersi dal freddo”.

 

Narratore esterno con focalizzazione esterna 

 Si può avere anche il caso, però, di un narratore eterodiegetico o esterno con focalizzazione esterna. Questo significa che il narratore è sempre al di fuori della storia, ma non la conosce già a priori per intero: la viene a scoprire, o meglio dà la sensazione di venirla a scoprire, mentre si svolge, insieme al lettore. I racconti d’indagine, polizieschi e di mistero sono spesso costruiti in questo modo, perché l’idea che tutto stia capitando all’insaputa stessa di chi lo narra aiuta a creare suspense e accresce la curiosità di chi legge. È come se l’azione avvenisse sulla scena e il narratore la stesse raccontando dalla platea mentre si svolge. Pensa ad esempio a Trappola per topi  di Agata Christie che è sì un giallo, ma scritto sotto forma di dramma teatrale, in cui la vicenda è portata avanti in diretta dai gesti e dalle battute dei personaggi, ma il punto di vista non appartiene a nessuno di loro.

 

Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo.

Luigi Pirandello

editare un libro

Narratore interno con focalizzazione interna 

 È chiamato anche narratore omodiegetico, quello cioè che incarna uno dei personaggi della storia che racconta e che, per forza di cose, dovrà adottare una focalizzazione interna. La vicenda verrà narrata dal suo punto di vista, il che spesso si accompagnerà all’uso della prima persona singolare.

Se il narratore interno si identifica con il protagonista del racconto si parlerà di narratore autodiegetico, se invece assume le vesti di un altro personaggio si dirà allodiegetico.

Come esempio di io narrante che parla per voce del protagonista si può ricordare Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, che inizia così:

“Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de’ miei amici o conoscenti dimostrava d’aver perduto il senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo:

  • Io sono Mattia Pascal.
  • Grazie, caro. Questo lo so.
  • E ti par poco?

Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza:

  • Io mi chiamo mattia Pascal”.

Un esempio di narratore interno allodiegetico, invece, si può trovare ne Le avventure di Sherlock Holmes di Arthur Conad Doyle, in cui a raccontare i casi occorsi al famoso investigatore è l’amico e compagno d’indagine John H. Watson che parla in prima persona come si può vedere già dall’incipit de L’avventura del carboncino azzurro qui riportata nell’edizione Rizzoli Bur ragazzi del 2009:

“Natale era trascorso da due giorni quando andai a far visita al mio amico Sherlock Holmes: volevo porgergli gli auguri per il nuovo anno. Lo trovai che oziava sul divano, avvolto in una veste da camera color porpora con un reggipipe a portata di mano da un lato e dall’altro una pila di giornali spiegazzati evidentemente consultati da poco”.

 L’autore che decide di adottare voce narrante e focalizzazione interne dovrà stare attento a non tradirsi nel corso del racconto; non potrà, ad esempio, descrivere lo stato d’animo o i pensieri di personaggi diversi da quello che sta raccontando la storia, perché, se lo facesse, incorrerebbe in una brutta caduta narrativa. 

 

Narratore interno multiplo 

 C’è poi il caso del narratore interno multiplo. Questo significa che a vestire i panni di chi racconta la storia sono, di volta in volta, personaggi diversi della stessa. Tutti parlano in prima persona e riportano i fatti, che loro stessi hanno vissuto o stanno vivendo, in base al proprio punto di vista, ma l’alternanza delle voci consente al lettore di farsi un’idea non solo di ciò che è capitato, ma anche degli stati d’animo con cui è stato interpretato da tutti gli interessati. Con questo tipo di voce narrante si può quindi affiancare alla focalizzazione interna la visione a 360° sulla storia tipica del punto di vista esterno.

Un esempio di narratore interno multiplo si può trovare ne La custode di mia sorella di Jodi Picoult.

 

Devo tuttavia sottolineare ancora una volta come questa sia la mia lettura attuale dei fatti. O meglio, l’attuale ricordo della mia lettura di allora di quanto al tempo accadeva.

Julian Barnes

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Narratore inaffidabile 

 Sì, c’è anche questo: il narratore inaffidabile, quello cioè che a un certo punto, o fin da subito, a seconda di come lo concepisce l’autore, si rivela menzognero. Parla, di solito, in prima persona e la sua versione della storia non regge oppure è immatura e parziale o magari alterata da un suo stato psico-emotivo precario. Le motivazioni possono essere tante e diverse, ma quello che emerge con chiarezza è la sua assoluta inattendibilità.

Una voce narrante del genere tende a confondere il lettore se non proprio a spiazzarlo, come accade, per esempio, nel romanzo Il senso di una fine di Julian Barnes, in cui il testo, diviso in due parti, riporta nella prima i ricordi giovanili del protagonista raccontati da lui stesso e, nella seconda, una versione di quegli stessi ricordi completamente diversa che minano non solo le certezze acquisite da chi sta leggendo, ma anche quelle dello stesso protagonista. Il finale rimarrà sospeso, aperto a possibili risvolti diversi.

 Come vedi le storie possono essere raccontate in modo differente a seconda del narratore a cui le si affida e al tipo di focalizzazione che si decide di adottare. Questo non fa che avvalorare l’idea che non esistono storie banali, ma al massimo modi banali di raccontarle. Qualsiasi scelta narrativa si faccia, però, va mantenuta con coerenza dall’inizio alla fine, sapendo bene, fin da subito, quali possibilità e quali limiti offra a che decida di utilizzarla.

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