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Scrivere bene? Come si fa? Questa domanda me l’hanno posta  in tanti. Sono vari i passaggi che portano alla buona scrittura ma uno su tutti è indispensabile: leggere, leggere, leggere. Non si può pensare di scrivere senza essere dei forti lettori. 

Ho fatto una chiacchierata con Paola Gaiani amica e professionista. Autrice per bambini e ragazzi, organizza laboratori di lettura e scrittura creativa per l’infanzia, si occupa di editing e di ghostwriting. È inoltre responsabile della nostra redazione di Accademia di scrittura. 

Se vuoi scrivere bene, devi leggere con metodo 

 

Prima che tu legga i passaggi che sto per raccontarti, voglio consigliarti l’articolo Come imparare a leggere bene? Ecco una tecnica

Che per scrivere bene si debba leggere è  una verità risaputa così come che la lettura porti ad affinare la nostra scrittura: più libri leggiamo e approfondiamo più acquisiamo quegli elementi atti a farci migliorare. Però la lettura va praticata con metodo. Cosa ne pensi, Paola?

Sono d’accordo. Esistono in commercio molti validi manuali di scrittura, proprio per chi desidera perfezionarsi. Dal mio punto di vista però la questione si pone in modo differente: qualsiasi testo scritto può fornire, se si acquisiscono delle modalità particolari di leggerli, degli strumenti utilissimi che poi noi possiamo mettere in pratica quando ci capita di scrivere a nostra volta. Libri di generi differenti: dalla narrativa alla manualistica, dalle ricerche ai saggi, oppure gli articoli di giornale o i post.

“Dipende da come leggiamo”, possiamo leggere centinaia di testi e assimilare poco come scrittori; analizzarne un paio e apprendere le tecniche di scrittura principali. 

Proprio così. È indubbio che testi di qualità forniscano strumenti di qualità, chiunque voglia cominciare ad allenarsi è bene che parta da testi di alto livello, perché vede applicati in maniera perfetta tutti gli espedienti e le tecniche narrative che sono fondamentali per poter condurre una narrazione. Però, se una persona è allenata e ha capito il meccanismo che sta alla base della creazione di testi, può paradossalmente imparare anche da quelli di una qualità inferiore, perché riesce a coglierne le manchevolezze. Se ad esempio ci imbattiamo in una caduta di stile, cogliendola impariamo a non caderci a nostra volta. Quindi alla fine è un allenamento che permette di corazzarci in modo adeguato ad ogni tipologia di testo.

Libri di narrativa: quanti strumenti utili 

L’apporto che ci dà la letteratura è sempre fondamentale, dobbiamo acquisire gli strumenti per scrivere bene e la narrativa è maestra.

Non ci si può avvicinare alla scrittura se non si ha alla base tutta la “cassetta degli attrezzi” per poter condurre una narrazione. Si pensi a che cos’è un racconto o, a maggior ragione, un romanzo, dove la vicenda e il lettore vengono accompagnati per più pagine. Bisogna essere padroni degli strumenti narrativi, dalla forma allo stile, al linguaggio, al tono, fino ad arrivare anche alla struttura, al modo di condurre il racconto e alla coerenza. Ci sono tantissimi elementi che devono essere messi in gioco e nella narrativa vengono messi in gioco tutti. Per cui è una fonte inesauribile di suggerimenti e di modelli a cui poi possiamo attingere. 

Anche un testo conciso, finalizzato a catturare l’attenzione di un lettore nel breve, è una mini narrazione. Vengono messi in campo certi meccanismi e certi elementi che, se ben dosati e inseriti, trattengono il lettore. Molto spesso leggiamo e non capiamo come mai non riusciamo ad arrivare alla fine di quello che stiamo leggendo, ci annoiamo oppure, peggio, facciamo proprio fatica ad orientarci. Ma se si acquisisce consapevolezza, non soltanto capiamo quello che non ci piace, riusciamo anche a dire perché e che cosa non ha funzionato. In questo la narrativa può aiutarci tantissimo. 

Stile di scrittura 

Ciro Imparato diceva “Lo stile siamo noi”. Ognuno di noi è portatore di un proprio stile, composto da una dimensione puramente soggettiva che riflette la nostra vita e i nostri valori. Nella comunicazione di tutti i giorni, attraverso blog e social network, ci rende riconoscibili. La ricerca e la messa a punto di uno stile personale è fondamentale. Paola, cosa possiamo trarre dalla letteratura che possa esserci d’ispirazione per definire una nostra voce?

 Questo è un elemento che anche i lettori meno allenati sono in grado di cogliere con evidenza fin da subito. Anzi, Molte volte si pensa che l’unica differenza tra un autore e l’altro sia la diversità degli stili. Ci sono invece molti altri fattori che costituiscono il nostro biglietto da visita. Quando scriviamo utilizziamo alcune parole o una certa forma che è solo nostra, che ci rappresenta e che amiamo. È la nostra voce.

 

Anche la modalità con cui utilizziamo la punteggiatura ci caratterizza. Molte volte ci è capitato di scambiarci delle pagine per vedere come un dato autore la utilizzava. Nei grandi, a volte, c’è addirittura una sorta di licenza a utilizzare la punteggiatura in un modo personale, sia per sperimentazione sia per gusto.

 Certo. Per esempio c’è chi si trova più a suo agio nello scrivere frasi brevi, concise, essenziali; chi invece argomenta e preferisce articolare i propri periodi attraverso una serie di subordinate, di incisi, di parentesi, di spiegazioni, perfino decorazioni. Questa diversità di metodo non è sempre cercata artificialmente, è molto spesso connaturato al nostro modo di esprimerci e di essere. C’è chi dà il meglio di sé con una frase  breve, che non è però sinonimo di semplicità, di banalizzazione o di semplificazione; c’è chi invece articola i periodi in maniera più corposa. Bisogna saper fare bene entrambe le cose ed essere credibili in entrambi gli stili. 

Analisi del fraseggio 

 

Per farci comprendere meglio queste differenze, Paola ci fai un esempio?

Sì, prendiamo Erri De Luca. È lapidario, le sue frasi sono come colpi di scalpello perché danno una direzione, sono dei “flash”. Quella che ci viene restituita alla fine è una scultura straordinaria. Il brano è tratto da La natura esposta, il protagonista, e nonché voce narrante, si racconta e presenta in questo modo:

 

“Abito vicino al confine di Stato, sotto montagne sapute a memoria. Le ho imparate da cercatore di minerali e fossili, poi da scalatore. L’incerto guadagno mi viene dal commercio di quello che trovo e da piccole sculture in pietra e legno. Intaglio nomi per gli innamorati tenaci, che li preferiscono incisi su rami e sassi, anziché su tatuaggi. Durano di più, senza sbiadire.” 

 

Tutte queste frasi sono piccoli tasselli che l’autore inserisce nel testo. L’aggettivazione è quasi inesistente ma ci apre una finestra di significati. Trovo quelle “montagne sapute a memoria” di grande bellezza. Oppure, quegli “innamorati tenaci”, ci fa capire che ci sono tipi diversi di innamorati. Questo modo di procedere è tipico suo e lo connota, è il suo stile. 

 

Ci sono tante tipologie di fraseggio e questo è un fraseggio molto incisivo, molto immediato, arriva forte. Quando noi vogliamo che la narrazione arrivi forte al lettore è più congeniale questa forma. In una narrazione più morbida invece abbiamo bisogno di condurre per mano il nostro lettore. 

 

Certo, questo è uno stile serrato che mette dei paletti ben precisi perché vuole arrivare diretto con ogni parola, vuole arrivare allo scopo. 

 

L’espressione scritta di questo autore è molto coerente con la sua espressione verbale, direi che parla come scrive. Le frasi sono molto brevi, c’è un uso del punto, non usa punto e virgola. Non ci sono avverbi. Le frasi sono sempre molto nette. 

 

Esatto, tutti questi elementi di contorno evidentemente per De Luca costituiscono delle zavorre o degli orpelli, e lui non vuole prestare il fianco alla divagazione. Vuole che ogni frase sia diretta. Leggere un testo come questo è impegnativo perché non c’è spazio per la distrazione, non si può mai abbassare la guardia. L’attenzione di chi legge deve essere sempre altissima perché essendoci poche parole per ogni frase, e tutte indispensabili, non se ne può perdere nemmeno una. Bisogna seguirlo punto per punto, passo dopo passo, con grande attenzione. Però l’efficacia è tanta, ogni tanto ci si ferma e si dice: mamma mia, quanto si riesce a dire con così poco!  

Qualcun altro invece si trova meglio laddove c’è un periodo molto arioso, nel senso di “molto ricco”. Mi riferisco in questo caso a Umberto Eco, seguirlo è impegnativo. Mi è piaciuto accostare questi due modi diametralmente opposti di trattare il testo. L’esempio lo prendo da “Il nome della rosa”. La situazione è analoga a quella precedente: anche qui la voce narrante usa la prima persona ed è il protagonista della vicenda. Adso, ormai anziano, racconta retrospettivamente la sua vicenda con Guglielmo quand’era ancora novizio. Si presenta così:

“Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo, nell’attesa di perdermi nell’abisso senza fondo della divinità silenziosa e deserta, partecipando della luce inconversevole delle intelligenze angeliche, trattenuto ormai col mio corpo greve malato in questa cella del caro monastero di Melk, mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere, ripetendo quanto vidi e udii, senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l’Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione”. 

 

 

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Il talento non basta 

Premettendo che non è così semplice scrivere frasi brevi rispetto a quelle più articolate. In questo esempio sia la punteggiatura che la gestione del fraseggio sono perfetti, e allora, secondo te, Paola si deve avere un talento per questo tipo di narrazione, oppure la si può imparare? 

Secondo me c’è un talento, e più che un talento chiamiamola una predisposizione di base. È un po’, come dicevamo prima, come il carattere delle persone: ci sono persone che anche quando parlano sono laconiche e quelle che invece sono più sovrabbondanti, quindi fa parte un po’ della natura. Bisogna poi aggiungerci abilità e tecnica, soprattutto se si vuole ambire ad una struttura abbondante e articolata. È molto più facile, nel secondo esempio, cadere nell’anacoluto. 

Oppure un altro errore in cui si incorre spesso, quando il periodo è lungo, è la sovrabbondanza di frasi relative. Se chi scrive sa di non saper gestire molto bene il fraseggio lungo e articolato, è più saggio che ricorra alla frase breve. Ci vuole tanta tecnica, tanto allenamento. È molto bello creare queste frasi ma ci vuole pratica.

È vero e poi, se sono costruite magistralmente, chi legge prova anche un autentico piacere nel farsi portare da queste architetture perfette. Dipende comunque anche dall’effetto che si vuole ottenere. Lo stile di Eco tende a essere abbastanza ricco in questi termini però, laddove c’è una scena concitata, anche lui ricorre a frasi dirette e brevi. Bisogna essere capaci di sfruttare gli stili giusti al momento giusto, per raggiungere gli effetti desiderati. Qui però andiamo oltre, non si parla più soltanto di stile ma di tono narrativo, di linguaggio. 

Il tono narrativo 

Hai detto una cosa molto importante: il piacere che il lettore trae dalla lettura. Possiamo provarlo non solo con il romanzo ma anche nella lettura di un articolo, se ben redatto da un punto di vista di contenuto e di forma. Poi accenni a un altro aspetto della scrittura, il tono. Il tono che vogliamo dare al nostro scritto, come vogliamo essere letti, come vogliamo che il lettore senta la nostra voce. 

È il tipo di sensazione che vogliamo suscitare. Quando noi raccontiamo qualcosa non dobbiamo soltanto fornire delle informazioni ma anche trasmettere delle emozioni legate al contenuto. Il tono narrativo è quella sorta di filo rosso, sotteso alla narrazione, che ci tiene attaccati al testo. Può succedere attraverso il divertimento oppure lasciandoci col fiato sospeso quando l’effetto desiderato è quello della suspense o della paura. Anche il modo in cui gestiamo le frasi fra di loro può creare delle atmosfere. Il tono narrativo però esige una coerenza e un mantenimento a lungo termine per tutto il corso della narrazione, altrimenti si corre il rischio di contraddirsi.

A volte può capitare di utilizzare toni che non si adeguano alla narrazione, linguaggi non appropriati al contenuto. 

 

Certamente. È richiesta una sensibilità particolare perché i contesti in cui ci troviamo a raccontare possono cambiare. Anche i social cambiano, in base alla piattaforma in cui mi trovo devo modulare gli argomenti che voglio trattare su toni differenti e adatti. 

Leggiamo spesso scritture molto uniformate, Penso che a volte potremmo anche osare un po’, fare delle sperimentazioni, tentare di aggiungere personalità. Quello che dici tu però è giusto, il tono va modulato al contesto. Paola, pensi che i post sui social debbano mantenere sempre la voce autentica dell’autore?  

Certo, non possiamo parlare con la voce di un altro. È come se si mentisse, in un certo modo. Se la voce non ci appartiene, prima o poi cadiamo in trappola. La scrittura ci rivela sempre.

 

La scrittura non mente mai. Si possono apprendere molte tecniche, ma solo se applicate a una voce autentica la andranno a migliorare e potenziare. Altrimenti, oltre che faticoso, alla lunga non reggerebbe.

E i lettori se ne accorgono. Non soltanto faticheremo a mantenerla nel tempo, chi ci legge prima o poi ci abbandona perché capisce che c’è qualcosa che non va, che non funziona, c’è una sorta di stonatura.

 

Il tono ironico 

Vorrei proporre un altro esempio riguardo un tono narrativo che io uso spesso e che è nelle mie corde: il tono ironico. L’ironia va gestita con saggezza e sapienza, non si può ironizzare su tutto, è un attimo cadere nel sarcasmo. Quando si sfora non si ottengono più gli stessi risultati. In questo testo il tono si evince dalle prime righe perché è il timbro che l’autore vuole imprimere a tutto il racconto. 

Il brano è tratto da “Il caso Malaussène. Mi hanno mentito.” di Daniel Pennac. 

 

“La pietà? Georges? Lo conosci, è il classico tipo che nelle confidenze ci sguazza, come i cani in campagna nella fossa del letame. (Quel movimento elicoidale che li attorciglia tutti, dal muso alla coda!) Lui, uguale. E poi ne spande ovunque. Allora tanto vale entrare subito nella sua testa. Non è un’indiscrezione, è stato lui stesso quel giorno a raccontare tutto ai ragazzi. A cominciare dall’accuratezza con cui si è preparato per andare a prendere l’assegno.”

Qui c’è tutto il divertimento, l’ironia, la capacità di trattenere il lettore prendendolo con il sorriso. Questo non significa che Daniel Pennac non si soffermi anche su momenti di prosa lirica e di lirismo straordinario. Quando descrive certi paesaggi, all’interno dello stesso romanzo, usa tutto un altro registro, ma perché allora vuole ottenere un altro tipo di effetto. 

La struttura narrativa 

Un’altra questione che va affrontata, qualunque cosa si scriva, è quella dello strutturare una comunicazione scritta. Quindi dal post, all’articolo, al racconto c’è sempre bisogno di una struttura. Quando la struttura manca si sente. Secondo te Paola, quanto è importante dedicare del tempo al lavoro di struttura? 

È fondamentale. Anche se non è nelle nostre corde o siamo persone che non amano fare gli schemi, ci sono tanti modi di predisporsi a scrivere qualcosa. Attraverso strutture, scrivendosi prima i punti salienti da trattare. Ognuno deve trovare il metodo più congeniale. I testi, brevi o lunghi che siano, devono cominciare da un punto, svolgersi nel corpo centrale del testo e poi concludersi. La conclusione non è un mai un ritorno al punto di partenza ma è l’evoluzione del punto di partenza, è quello che dà senso a quello che abbiamo scritto. Questi tre punti fondamentali non possono mancare perché, arrivati alla fine di un testo, bisogna aver capito quello che l’autore nello specifico voleva comunicare. 

Anche la lettura di sceneggiature potrebbe aiutarci a capire che cosa significa strutturare un testo?

Certo, anche un film può incappare negli stessi errori e nei problemi in cui incappano le scritture. Essere privo o non aver sviluppato bene una delle tre parti crea delle strutture instabili che o non vanno avanti o crollano.

È un problema che vediamo spesso anche nel lavoro di editing. 

Molto spesso si pensa che inizio, svolgimento e fine, che sono poi i tre consigli che ci davano le maestre quando dovevamo fare il tema a scuola, siano cose risapute; però da lì al metterle in pratica e rispettarle c’è una certa differenza. Ma anche difficoltà perché a volte tendiamo a divagare e non arrivare al punto, oppure arrivarci in maniera non adatta, creando quindi scritti che non stanno in piedi. Se vogliamo possiamo chiamarla anche in un altro modo: tesi, antitesi, sintesi. Inizio, svolgimento e conclusione, è la stessa cosa. Bisogna portare chi ci legge ad apprendere tutto quello che gli vogliamo dire. 

 

Quando poi abbiamo la padronanza e abbiamo capito bene che cosa significhi strutturare possiamo permetterci anche di mescolare un po’ le carte, giusto? 

 

Sì, non c’è un modo solo di raccontare. Non dobbiamo per forza partire cronologicamente dal principio, ci sono esempi di testi autorevoli che partono dalla fine. Il concetto di struttura viene mantenuto integro, cambia soltanto l’ordine dei fattori. Si ottengono ovviamente effetti e risultati diversi. Penso a “Cronaca di una morte annunciata” di Márquez. Il titolo è lo spoiler del racconto perché la storia del personaggio, che in effetti muore e viene ammazzato, lo scopriamo a pagina 1, lo sappiamo addirittura dal titolo, che è ancora più clamoroso. E sappiamo anche chi è il colpevole. Però quello che ci manca è scoprire perché si sia arrivati a tanto. Sembra un dettaglio, in realtà Márquez gioca tutto il suo romanzo breve su questo. Qui il ribaltamento è sapiente.

 

Questa è una bella tecnica che possiamo portare nella nostra comunicazione quotidiana. 

 

A volte sì, perché è scioccante. L’effetto che si ottiene è quello di sorprendere, ti seguo con curiosità perché voglio capire come fai. Anche questo è un trucco, bisogna saperlo gestire per poter trattenere il nostro lettore. Lo scopo di tutti è quello di farsi leggere con piacere fino in fondo. Se impariamo a cogliere queste tecniche nei testi degli altri possiamo farle nostre. 

L’importanza dell’allenamento nella scrittura 

Sono d’accordo. La scrittura, oltretutto, non è mai acquisita, è una questione di allenamento. È un lavoro costante di messa a punto, di revisione e riscrittura. Per certi aspetti è un lavoro molto faticoso, anche se, quando si arriva ad aver trovato l’espressione giusta, poi si è soddisfatti. Cosa ne pensi Paola?

Sì, non si arriva mai, è una continua ricerca. Quando poi si viene presi da questo modo di leggere, e di conseguenza di scrivere, siamo noi per primi a voler alzare l’asticella per migliorare sempre di più, andando a misurarci con letture più elevate. Insomma è tutto un allenamento, un fare e poi migliorare, è affascinante. Se capita poi di andare a rileggere i testi che si sono scritti nel corso del tempo si coglie tutta l’evoluzione che c’è stata. È come se si maturasse, la nostra scrittura matura e cambia, cambia tanto. 

 

La riscrittura 

A volte pensiamo di una stesura che sia buona la prima, che sia sufficiente fare solo qualche modifica. Il testo invece andrebbe completamente riscritto. Dopo aver capito quello che non funziona non basta la semplice correzione. È importante la riscrittura totale di quello che abbiamo scritto e non solo il rammendo, Paola? 

 

È molto importante. A volte si potrebbe essere tentati di dire “Va bene così, quello che volevo dire l’ho detto, si capisce”. Ma non basta. Chiediti cosa vuoi trasmettere. Se, oltre all’informazione, vuoi trasmettere tutto quello che ci sta dietro, tutta la tua passione e tutte le emozioni che ci hai messo, allora non può bastarti così. Devi, al limite, anche ribaltare il tuo lavoro e rimetterti in discussione. Chi comincia a entrare nel vortice della lettura per poi scrivere meglio, finisce con l’essere non soddisfatto per primo. Senza arrivare all’estremo ovviamente, Oscar Wilde passava anche una giornata intera a mettere una virgola, per poi toglierla il giorno dopo! 

 

L’apporto che ci regala la lettura 

Anche la lettura, se fatta con un certo occhio, ci porta ad analizzare le varie soluzioni che un autore trova. Mi riferisco all’uso che fa dei termini, delle parole, la scelta dei verbi. Oppure capire come lega il sostantivo con il verbo, che tipo di aggettivi, similitudini, metafore sceglie un autore. Questo ci aiuta molto a raffinare la nostra espressività. 

Infatti, ci sono parole ricorrenti che fanno parte dei nostri modi di dire. Abbiamo la tendenza ad usare certi termini piuttosto che altri e questo è inevitabile che poi influenzi anche lo scritto. Per cui capita, a distanza di poche frasi, di trovare la ripetizione delle stesse parole per dire anche cose differenti. Ecco perché, ancora una volta, leggere i linguaggi, le parole degli altri nei testi, nei libri o dove capita, aiuta ad aumentare il nostro bagaglio terminologico. Ti faccio un esempio che mi ha fatto pensare. Mi è capitato di dover leggere un testo scritto da un medico. Era una raccolta di saggi in cui raccontava i casi dei propri pazienti. Aveva una capacità narrativa straordinaria, da vero scrittore. Però i suoi termini erano diversi dai miei, nel suo bagaglio c’erano le terminologie scientifiche che si portava dietro dal suo lavoro, dalla sua formazione. Mi sono detta: è incredibile come ci sia un bacino di parole straordinario a cui io possa attingere per poter arricchire e descrivere, anche in modo diverso, le cose che sono abituata a dire. Quindi tutti hanno qualcosa da raccontarci e delle parole da suggerirci. 

 

È una continua ispirazione e nei libri troviamo davvero tanti contenuti. Chi si occupa di comunicazione tende a leggere tantissima manualistica, tantissimi saggi; questo va fatto, è importante, però non trascuriamo anche altre letture. La narrativa, i romanzi, le raccolte di racconti. Anche la poesia dà un apporto incredibile al nostro linguaggio perché lo raffina, lo approfondisce in sensibilità. Sono letture che ci aiutano anche quando non siamo scrittori ma dobbiamo raccontare il nostro lavoro, la nostra attività. 

 

Sì, è bello. Per esempio a me piace molto mescolare le carte, prendere delle formule che sono tipiche della narrativa e trasporle nel racconto di un’azienda, per esempio. Ne risulta qualcosa di davvero originale, che si staglia dal resto dei testi uguali nel loro genere, a volte con dei risultati sorprendenti perché sperimentano strade nuove. Attingere anche da altri mondi, da altri linguaggi e creare queste commistioni è un arricchimento, si possono creare delle miscele interessanti. 

 

Fare rileggere ad altri 

La cosa importante è mantenere alto il livello di osservazione. Non dobbiamo aver paura di sperimentare altri registri che non sono i nostri. Che altro possiamo aggiungere, Paola, che non abbiamo detto? 

 

Aggiungerei il farsi leggere da qualcuno. Altri occhi ci permettono di vedere e cogliere l’effetto che può scaturire quello che abbiamo scritto. Nonostante le intenzioni con cui abbiamo cercato di ottenere un dato effetto, chi legge potrebbe percepire altro. In quel caso bisogna cambiare qualcosa e rivedere il lavoro. Questo gli occhi degli altri ce lo possono dire senz’altro. 

 

La lettura a voce alta 

Vero, aggiungo inoltre un consiglio che molte volte viene tacciato di banalità, ossia la lettura a voce alta. Quando scriviamo, ad esempio, un post che sembra andar bene, rileggendolo a voce alta potrebbe non funzionare più. È un espediente che ci rivela la tenuta e la musicalità di quello che abbiamo scritto. 

Esatto. Dopo esserci dedicati al contenuto, alla forma, alla struttura e all’effetto che vogliamo ottenere, il testo deve anche suonare bene. Ad esempio, la punteggiatura deve essere gestita in maniera corretta. Sappiamo quanti equivoci possono portare una virgola mancata o dei segni di interpunzione messi in punti non corretti. Per cui sì, sentire quello che abbiamo scritto dalla nostra voce o da quella degli altri è utilissimo. Possiamo sperimentarla anche sui testi dei grandi della letteratura. Proviamo ogni tanto a leggerli ad alta voce, si gode due volte. Oltre che del piacere della lettura silenziosa, anche il sentire come suonano bene certe frasi ci aiuta a capire che strumento potente sia la scrittura. 

 

Grazie Paola per gli apporti che ci hai dato e della bellissima chiacchierata, a presto.

 

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